| Registrati | Recupera password |
| Inserito: 12 Gen 2009 17:18 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 12 Data iscrizione: Gen 2009 |
Saluto tutti e mi scuso subito per questo nick, che potrebbe sembrare irriverente nei confronti delle persone con qualche problema di salute “somatica”... E’ la prima parola che mi è venuta in mente nel momento in cui dovevo scegliere l’ID per l’iscrizione, e qualche senso, questo fatto, deve pure averlo... Comunque dire che mi pare di vivere steso su un letto e attaccato ad un tubo non è poi troppo forzato...
Vedrò di essere estremamente sintetico, almeno per ora, giusto per invitare alla lettura. Quasi 40 anni. Infanzia difficile (orfano di padre dalla nascita e di madre – problematica – a 20 anni). Adolescenza solitaria. Rapporti con le donne sempre problematici. Lavori sempre temporanei. Niente amici. Qualche breve psicoterapia. Fluoxetina da quasi 10 anni (che fa il suo lavoro decentemente). Pensieri suicidi da sempre, a fasi alterne, ma, come forse molti di voi avranno sperimentato, una volta che hai sbloccato mentalmente quell’uscita di sicurezza, la porta poi non si chiuderà mai più perfettamente. Da qualche mese sto attraversando l’ennesimo periodo di approfondimento della crisi... solo che ora ho un bambino di quasi tre anni di cui sono innamoratissimo. Vorrei rimanere qui – vivere – per lui, ma non sono in grado di essere autonomo. Posso dargli abbastanza dal lato affettivo ma nulla da quello materiale. Sono riuscito a sopravvivere miracolosamente fino ad ora, appoggiandomi a questi o a quelli, ma con un figlio non puoi più accontentarti di sopravvivere... devi riuscire a vivere davvero, per potergli dare qualcosa. Devi potergli dare una casa, un futuro, delle possibilità... In questi mesi non ho investito la maggior parte del mio tempo alla ricerca del modo migliore per uccidermi e nello scrivere delle memorie che potessero lasciare a mio figlio, un giorno, diventato adulto, una traccia della mia identità... Ma non ci riesco... Forse non mi odio abbastanza da fare un gesto autolesionistico... e mi invento mille scuse, anche le più assurde, per non andare fino in fondo... Arrivando alle soglie della morte mi rendo conto che quello che vorrei davvero è poter vivere bene... il problema è che non ne sono capace, non possiedo gli strumenti psico-sociali per farcela. Sono destinato allora a vegetare? In questo periodo credo di aver compreso almeno in parte la psicologia del “clochard”... perché vuoi tirarti fuori da tutto, non dover rispondere a nessuna pressione, non avere nessun bisogno da soddisfare... ma non vuoi neppure morire... vuoi solo annullarti... scomparire... isolarti... dormire... Ma allora sarebbe meglio che smettessi subito di vedere mio figlio: prima scompaio, meno sentirà la mia mancanza... Non so vivere in questo mondo... non so stare con gli altri... non li sopporto. Non riesco a fare quella piccola serie di operazioni banali che consentono agli altri di portarsi a casa lo stipendio... Non riesco a divertirmi e ad accontentarmi di lavorare per poi spendere i soldi... E non riesco neppure ad applicarmi con l’intento di arricchirmi... E non sono riuscito neppure a coltivare qualcosa che per me fosse interessante e appagante. Limbo assoluto... Ci vorrebbe un mondo diverso... qualcuno che mi aiutasse... Meglio ancora resettare tutto e ricominciare daccapo, se fosse possibile... Ma, soprattutto, non avrei dovuto fare un figlio, e lo sapevo... FLEBO |
| Inserito: 13 Gen 2009 16:20 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 12 Data iscrizione: Gen 2009 |
Per approfondire...
Il mio problema “pratico” principale, in questo momento, è non avere un lavoro, e non mettermi seriamente a cercarne uno perché non ci credo più. Penso di averne cambiati una trentina, in 20 anni. Con una durata che va da un minimo di poche ore ad un massimo di un anno e qualcosa (quando ancora ci speravo). Non ho neppure più una casa... mi ospitano dei parenti. L’ultimo lavoro risale ad un paio di mesi fa, quando vivevo con l’ennesima crocerossina disposta ad ospitarmi. Poi con lei è finita, come con tutte le altre, e ho lasciato anche il lavoro. Un po’ per l’amarezza, un po’ perché dovevo tornare nella mia città natale per avere un letto in cui dormire e non finire a fare il barbone. Poi ho lasciato che i soldi terminassero completamente, tanto pensavo mi sarei ucciso. Non è la prima volta che lo faccio, solo che anche stavolta non mi sono ucciso e che ora non è avvenuto nessuno dei “miracoli” che mi avevano salvato in precedenza. Quindi sono senza un euro e senza lavoro... e soprattutto senza alcuna voglia di rimettermi a fare uno dei tanti lavori qualsiasi tanto per tirare a campare. Ho mostrato la mia indole così chiaramente, nel tempo, che ormai non oso neppure più presentarmi alle agenzie interinali (serbatoi di schiavi in stile Matrix), che mi conoscono benissimo. Le persone “normali” riescono a fare un qualsiasi lavoretto per avere poi le risorse per costruire qualcos’altro. Io ci ho provato per tutta la vita ma non sono mai riuscito fare altro. Mi sono arenato in questi lavori insignificanti che mi portavano via tutte le energie. Poi, senza forze, senza amici, senza progetti, senza speranze non sono mai riuscito a costruire nulla. Da un lato la presenza del mio bambino (che ovviamente vive con la madre e sta bene in tutti i sensi) mi stimola a cercare una soluzione. Dall’altro è la sua stessa presenza che alimenta il mio senso di inadeguatezza, perché sento la pressione delle sue legittime esigenze e aspettative. Pressione che non ho mai sopportato, probabilmente a causa di una bassissima autostima, e che è verosimilmente una delle cause principali delle mie difficoltà relazionali in ogni campo. In qualche modo forse questo somiglia al concetto espresso nel forum, ovvero che il suicidio è il risultato di uno sbilanciamento tra “panico” e risorse. Devo ancora leggere i post per capire bene, ma a me verrebbe da dire “tra il piacere e il suo prezzo”. Sento la vita come una schiavitù, come una costrizione. Percepisco la morte come la libertà assoluta. Liberazione da qualsiasi richiesta o aspettativa, perché tutti vogliono che tu viva, ma nessuno è disposto a permettere che tu viva “gratis”. Tutti vogliono qualcosa da te. Ed è difficile che uno si senta disposto a “pagare” per qualcosa che non trova neppure gradevole. Poi è chiaro che ti pare di pagare più di quanto ricevi perché la fatica è sempre troppa, e il piacere sempre poco. Al di là delle verità oggettive, ovvero che viviamo in una società di schiavi che lavorano per arricchire gli altri. |
| Inserito: 13 Gen 2009 16:20 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 12 Data iscrizione: Gen 2009 |
Per approfondire...
Il mio problema “pratico” principale, in questo momento, è non avere un lavoro, e non mettermi seriamente a cercarne uno perché non ci credo più. Penso di averne cambiati una trentina, in 20 anni. Con una durata che va da un minimo di poche ore ad un massimo di un anno e qualcosa (quando ancora ci speravo). Non ho neppure più una casa... mi ospitano dei parenti. L’ultimo lavoro risale ad un paio di mesi fa, quando vivevo con l’ennesima crocerossina disposta ad ospitarmi. Poi con lei è finita, come con tutte le altre, e ho lasciato anche il lavoro. Un po’ per l’amarezza, un po’ perché dovevo tornare nella mia città natale per avere un letto in cui dormire e non finire a fare il barbone. Poi ho lasciato che i soldi terminassero completamente, tanto pensavo mi sarei ucciso. Non è la prima volta che lo faccio, solo che anche stavolta non mi sono ucciso e che ora non è avvenuto nessuno dei “miracoli” che mi avevano salvato in precedenza. Quindi sono senza un euro e senza lavoro... e soprattutto senza alcuna voglia di rimettermi a fare uno dei tanti lavori qualsiasi tanto per tirare a campare. Ho mostrato la mia indole così chiaramente, nel tempo, che ormai non oso neppure più presentarmi alle agenzie interinali (serbatoi di schiavi in stile Matrix), che mi conoscono benissimo. Le persone “normali” riescono a fare un qualsiasi lavoretto per avere poi le risorse per costruire qualcos’altro. Io ci ho provato per tutta la vita ma non sono mai riuscito fare altro. Mi sono arenato in questi lavori insignificanti che mi portavano via tutte le energie. Poi, senza forze, senza amici, senza progetti, senza speranze non sono mai riuscito a costruire nulla. Da un lato la presenza del mio bambino (che ovviamente vive con la madre e sta bene in tutti i sensi) mi stimola a cercare una soluzione. Dall’altro è la sua stessa presenza che alimenta il mio senso di inadeguatezza, perché sento la pressione delle sue legittime esigenze e aspettative. Pressione che non ho mai sopportato, probabilmente a causa di una bassissima autostima, e che è verosimilmente una delle cause principali delle mie difficoltà relazionali in ogni campo. In qualche modo forse questo somiglia al concetto espresso nel forum, ovvero che il suicidio è il risultato di uno sbilanciamento tra “panico” e risorse. Devo ancora leggere i post per capire bene, ma a me verrebbe da dire “tra il piacere e il suo prezzo”. Sento la vita come una schiavitù, come una costrizione. Percepisco la morte come la libertà assoluta. Liberazione da qualsiasi richiesta o aspettativa, perché tutti vogliono che tu viva, ma nessuno è disposto a permettere che tu viva “gratis”. Tutti vogliono qualcosa da te. Ed è difficile che uno si senta disposto a “pagare” per qualcosa che non trova neppure gradevole. Poi è chiaro che ti pare di pagare più di quanto ricevi perché la fatica è sempre troppa, e il piacere sempre poco. Al di là delle verità oggettive, ovvero che viviamo in una società di schiavi che lavorano per arricchire gli altri. |
| Inserito: 26 Gen 2009 01:15 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 1 Data iscrizione: Gen 2009 |
ciao hai scritto un sacco di cose, è difficile riprenderne qualcuna e lasciarne altre...mi colpisce che ti paragoni ad un clochard che forse vuole staccarsi un po' da tutto, dalla società, dalle persone ma vuole davvero? E' felice?
Parli di ricominciare da capo, a volte sarebbe bello potendo cambiare delle cose dentro di noi, almeno io cambierei qualche meccanismo in me più che nelle cose esterne, non si può cancellare tutto ma forse si possono cambiare delle cose, ma con fatica lo riconosco. Io non credo che il suicidio sia uno sbilanciamento tra il piacere e il suo prezzo, perché il piacere e la felicità non sono la stessa cosa e io credo che nella vita la ricerca di un po' di felicità sia più importante (sempre non semplice). Forse quando non sappiamo più dove sbattere la testa lo vediamo come una soluzione, ma a volte spunta qualcosa qualcuno magari piccolezze e si cerca di ripartire. Si sente da quello che scrivi che vuoi un sacco di bene a tuo figlio, forse è inutile dire cose banali su quanto puoi essere importante per lui (e la parte affettiva non conta meno di quella materiale) ma il tuo affetto si sente. Spero tu stia un po' meglio |
| Inserito: 31 Gen 2009 10:37 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 12 Data iscrizione: Gen 2009 |
Il clochard? Ma certo che non vuole davvero vivere così. Certo che non è felice. Che domande!!! Ma non può fare diversamente, almeno nella mia interpretazione. Ma non esiste solo il positivo: volere, felicità... esiste anche il negativo: fuggire, malessere, ecc... Ci sono persone il cui motore è probabilmente più negativo che positivo, funziona più sulla base di quello che temono, più che su quello che desiderano. Capisci? Il “benessere” allora non viene dall’ottenere qualcosa, ma dallo stare lontano da quello che è sgradevole (ridurre al minimo il malessere)... Subire le richieste e le condizioni degli altri è forse troppo pensante, e allora ci si rifugia in una condizione in cui nulla ci viene dato e nulla ci viene chiesto: ci si accontenta dei rifiuti del mondo, degli spazi lasciati vuoti, di una panchina che di notte nessuno usa... e forse solo perché uccidersi è più difficile ancora.
....... Forse la felicità è piacere, no? Sempre che tu per piacere non intenda semplicemente quello fisico-sessuale... Il mio amore per mio figlio è grande, ma non basta per farmi stare bene, perché la vita è fatta di molte altre cose che se non funzionano ti fanno stare male. Io sto ancora malissimo... non vedo alcuna via d’uscita... mi sento completamente abbandonato a me stesso e non in grado di sopravvivere... |
| Inserito: 31 Gen 2009 21:02 | |
|
Utente registrato Messaggi: 92 Data iscrizione: Ago 2007 |
Ho apprezzato la sincerità e la razionale lucidità con cui hai descritto il tuo modo di essere.
Una cosa mi ha colpita:ripeti spesso la parola"schiavitù" ,nei confronti del lavoro,della vita,delle situazioni in genere. Io vedo un uomo "schiavo"di se stesso e purtroppo questa è la schiavitù più difficile da evitare. |
| Inserito: 01 Feb 2009 15:27 | |
|
Utente registrato Offline Messaggi: 12 Data iscrizione: Gen 2009 |
Non posso che darti ragione: in generale e nel mio specifico. La tua riflessione è fin troppo facile e non sei sicuramente la prima persona ad offrirmela, compresi i presenti...
Probabilmente siamo tutti schiavi di noi stessi, oltre che di altri. Alcuni hanno un “padrone” più gentile e generoso, alcuni più esigente e spietato. Io sono “captivus”... prigioniero di un demone che non mi ama. Sono cattivo con me stesso... a volte anche con gli altri. Vorrei solo che mi si lasciasse in pace, ed essere lasciato in pace significa essenzialmente essere morto, visto che per poter vivere devi sempre soddisfare i bisogni o i desideri di qualcun altro, oltre che i tuoi. Indubbiamente mi trascino dietro l’odio di mia madre, il suo non sopportare la mia presenza... non sopportare di non essere in grado di sostenere le mie richieste, visto che non era neppure in grado di sostenere le sue. Se una madre mal sopporta un figlio, come farà questo poi a sopportarsi e sopportare gli altri? Come fai a vivere se, come tutti, sei cresciuto nel modo che ti è stato implicitamente richiesto, per compiacere la fonte dell’unico amore possibile, e poi questa sorgente materna di detesta per quello che sei diventato? Come fai a vivere se cresci in un ambiente in cui ci si aspettano da te determinate prestazioni, senza però che ti siano stati forniti gli strumenti mentali e materiali per raggiungerle? Ok... sono schiavo di me stesso. Chi è disposto a muovere un dito gratis per liberarmi? |
| Inserito: 01 Feb 2009 18:21 | |
|
Utente registrato Messaggi: 92 Data iscrizione: Ago 2007 |
Il problema è dentro di te,solo tu puoi muovere quel "dito"che occorre per liberarti.
Finchè cerchi le soluzioni fuori di te,saranno solo ,temporanee ed effimere...come del resto è stato fino ad oggi. E' vero che ci sono delle cause oggettive dovute alla tua infanzia,ma il percorso che hai fatto fin qui è opera tua.A volte ci ritroviamo un coltello tra le mani,qualcuno lo usa per distruggere,qualcuno per affettare il pane quotidiano. |