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Internet@mico / IL FORUM DEL MESE / Ho una storia da raccontare / Una storia: la mia vita
Inserito:  25 Ago 2009 02:44   Ultima modifica di: antonio
13B/a Parte - Una storia: La mia vita

Ho dovuto interrompere 10 min., ora riprendo il mio viaggio.
L'impulso, appreso da ragazzino, di imparare una quantità enorme di nozioni, discipline, tecniche, mi ha stimolato nel cimentarmi nella costruzione di mobili, nel progettare ed eseguire impianti elettrici, idraulici, nelle differenti tecniche di costruzione di abitazioni, locali pubblici, nel decorare e dipingere etc. Un regalo inaspettato che ho ricevuto quando mi si "regalò" il mio viaggio è stato: il buon gusto, o meglio il gusto per le cose belle. Questo, da solo, è un immenso regalo della natura. Sono elementi che sono presenti in tutti noi, alcuni però, riescono ad applicarli ed ampliarli e questo, è dovuto principalmente alla passione che si eserciterà. Altri aspetti molto rilevanti sono l'attenzione al dettaglio, una memoria quasi inesauribile, un'innata propensione nell'osservare tutto ciò che ci circonda per riuscire a "rubare" stimoli che impreziosiranno il nostro lavoro. Tutti questi, e molto altro, hanno contribuito al successo straordinario ottenuto.
C'è però un aspetto che cresce, si sviluppa ed infine ti demolisce. Ogni essere umano necessita, oltre dei propri stimoli, del conforto dei propri cari; quando questo manca ... difficile diviene il proprio percorso.
In alcune occasioni, Michèle,  usa espressioni come: "tu sei pazzo!" oppure "al tuo fianco non ci si può proprio annoiare", ancora "ma come sei in grado di fare ciò? Chi ti ha insegnato, dove l'hai appreso?" Frasi che dimostrano lo stupore ma che intimamente ti feriscono. Feriscono, perchè eri convinto di non avere segreti per colei che riposa al tuo fianco, nello stesso giaciglio, e di cui tu conosci ogni aspetto, peculiarità, limiti e risorse. Essere iper-sensibile è un dramma, ti fà vivere male, sempre attento, troppo. Percepisci anche ciò che non è reale. Molte cose vengono distorte. Ho imparato però ad analizzare tutto a 360° e quindi, vedere tutti i possibili aspetti. Memorizzo e sopravvivo.
In quegli anni per lavoro vado a Saint Tropez, Pisa, Torino, Genova, Albenga, Levanto, Pavia, Milano, Como e tanti, tanti altri luoghi. Entro in abitazioni di Ministri, politici, giornalisti, medici, industriali come in quelle di gente comune, semplice. Tutti, nessuno escluso, mi adorano e mi stimano. Sovente pranzo con loro. Si parla e discute di tutto. Altrettanto sovente, si instaura un rapporto di antica e profonda amicizia. Mi considerano "unico", mi affidano i loro bambinetti, mi invitano a trascorrere le mie rare ferie nei loro secondi alloggi.
Ho assopito il richiamo possente che il mare esercita su di me; con gli anni ho imparato a farne a meno, a sostituirlo con altre passioni altrettanto gratificanti. Ho collaborato con diversi negozi e sovente, sono diventato un loro pilastro fondamentale. Ho progettato alloggi, ville intere; sono stato incaricato di seguirne tutti gli aspetti costruttivi, decorativi e tecnici. I miei suggerimenti, consigli erano continuamente sollecitati. Stress immenso ma gratificante.
Non ho sacrificato la famiglia, no! Immagino sia una riflessione che molti, a questo punto, si faranno. Non posseggo amici, al di fuori dei "clienti", non frequento bar o circoli. Lavoro e casa.
Nel 1998, Hélène, frequenta il terzo anno al Liceo linguistico e qualcuno, inopinatamente, le "consiglia" di frequentare un anno (sabbatico) all'estero. Naturalmente, ha una propensione naturale per le lingue, vive in un contesto famigliare ove esse sono sempre state importanti. Il francese, l'inglese, l'italiano, il tedesco sono le lingue che si usano in casa. Mi rifiuto di considerare una tale ipotesi. I pericoli sono troppi e tutti importanti. Si rischia, data la maturità ancora non del tutto conseguita, di perdere un anno. Peggio, al rientro, si rischia di essere ipercritici del sistema scolastico corrente (già carente e inefficiente). Non si pùò però mettere solo dei veti, occorre anche concedere, in cambio, qualcosa. Propongo quindi di divenire noi "famiglia ospite" di uno/a studente estero, ciò arricchirà tutta la famiglia ed i rischi limitati. Per tutto c'è un momento ideale e sopratutto, nella Società di oggi così selettiva, sprecare tempo è un delitto che si pagherà pesantemente.
Inserito:  26 Ago 2009 02:30
Carissima Laurella,
ho letto il tuo scritto. Avrei tante domande da porti per conoscere il tuo punto di vista.
Non è la polemica, di cui sono tristemente famoso, a stimolare il mio interesse tuttavia, ti invito a non sottovalutare l'immenso pregio che l'esercizio di "ascoltare" chi è sofferente, regali frutti, non diversamente ottenibili, a colui che dona tale disponibilità . Per entrambi gli attori è dunque un esercizio benefico.
Ascoltare è sinonimo di comprendere. Comprendendo, si è in grado, quasi sempre, di portare sollievo, modificare le situazioni, apportare contributi di pregevole valenza. La Società, noi tutti, ne trarrebbe un immenso beneficio. Migliorerebbe. Sicuramente, tu hai bisogno, come sostieni, di una forza che oggi non ritieni di possedere e di "dover fare pace con il mondo e te stessa".
Quello che io sostengo,  visto che le potenzialità in te ci sono, perchè, con me, l'hai ampiamente dimostrato (senza la pretesa di ottenere risultati); perchè non impegnarsi maggiormente? Ne trarresti un beneficio indiretto che ti aiuterebbe a superare quel senso di disagio interiore quando, ti auto accusi di aver commesso errori nella tua vita. Personalmente ritengo che la tua decisione di riavvicinati al tuo papà, sia stato un atto che dimostri la tua estrema sensibilità ed umanità. Tutto il resto non conta. Non credo esista nessuno che non necessiti, qualche volta, di essere "ascoltato" e che, facendolo a sua volta, non possa riceverne un beneficio straordinario. Le paure ataviche dell'uomo nascono dalla sua Non conoscenza. Egli, nei millenni, ha saputo trovare dei "surrogati": le religioni, la socialità, la filosofia etc.
D'altra parte, tu lo stai già facendo.

Non desidero entrare in un ginepraio da cui, non sarei in grado di uscirne tuttavia, il mio giudizio sulla psicoterapia e sui tanti, troppi, C.S.M. è totalmente differente; almeno per quanto riguarda l'esperienza personale vissuta, in modo così ... "intensivo". Se avrai la costanza e la pazienza di continuare ad accompagnarmi negli ultimi metri del mio viaggio, forse, comprenderai.
Posso tuttavia anticiparti che quello che stiamo utilizzando e beneficiando - questo spazio - ha una valenza straordinaria. Avercene di strumenti simili!

La sostanziale differenza che trovo nelle nostre personali esperienze è: tu, ti ritieni colpevole (almeno questo è quello che hai scritto) di errori commessi; io, di essere la vittima di errori commessi da altri a mio danno.
Molto probabilmente, la ragione stà in mezzo. Entrambi, siamo colpevoli e vittime.
Un caro abbraccio ed una carezza.
Inserito:  27 Ago 2009 01:29
Caro Antonio,
in questi giorni sto vivendo un grande dolore a causa di un'altra perdita importante nella mia vita. Vorrei risponderti meglio alle cose che dici ma, ho tante cose per la testa e non ci riesco. Ti abbraccio e ti dedico un passo tratto da "Novecento" di Alessandro Baricco:

"... L'ultima volta che l'ho visto era seduto su una bomba. Sul serio. Stava seduto su una carica di dinamite grande così. Una lunga storia... Lui diceva: 'Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla'. Lui l'aveva una... buona storia. Lui 'era' la sua buona storia. Pazzesca, a ben pensarci, ma bella... E quel giorno, seduto su tutta quella dinamite, me l'ha regalata".
Inserito:  27 Ago 2009 15:04
14a Parte - Una storia: La mia vita

Dopo 2 giorni angosciosi trascorsi, riprendo il mio racconto. Le mie condizioni sono ulteriormente peggiorate e nonostante io abbia dei rimorsi incredibili per lo spazio che sto rubando in questo contesto. Quello che prevale in me è il desiderio di poter terminare di raccontare l'incredibile calvario in cui sono precipitato. Eliminerò quindi ogni dettaglio, sebbene di importanza vitale per riuscire a comprendere a fondo le sofferenze inaudite sofferte. Non intervenite, non sono in grado di rispondere. Speravo di arrivare al 10 settembre, forse è meglio così... Ho tuttavia, commesso un errore nel dare al mio Amico l'indirizzo di questo sito. Ora può controllarmi. (Non provarci Bruno, non farlo!)

Nel 2004 viene richiesta, da un ex cliente, la mia collaborazione per la costruzione di 4 villette a Chamonix. Mi viene spiegato che, in compensazione dei torti subiti in una precedente mia collaborazione, questo sarà il lavoro che compenserà tutti i miei sacrifici fatti per arrivare ove sono giunto. Informo mia moglie ed accetto. Inizia così una via crucis inimmaginabile. Mi si chiede di tutto e di più. Non sono nelle condizioni di poter descrivere tutto ciò che ho dovuto subire.
Dopo 17 mesi allucinanti, decido che debbo interrompere tale rapporto altrimenti, sarò distrutto psicologicamente, fisicamente ed umanamente. Viene continuamente esercitato un folle esercizio di adulazione con quello dell'umiliazione più profonda nei miei confronti, vengo sottoposto ad uno stress emotivo intollerabile, distruttivo e demolente. Avendolo intuito, ho preso l'accortezza di scrivere un diario, minuzioso, ordinato, sistematico. Quando raggiungo il mio limite di sopportazione, ahime troppo alto, decido di interrompere drasticamente tale rapporto e di ricorrere alle vie legali per il dovuto compenso. Segnali ed avvertenze ne ho dati a non finire, non se ne tiene assolutamente conto. Sono divenuto uno schiavo o quasi. NO!
29 maggio 2005: Inizio del dramma. Vengo abbandonato sul "cantiere" da mia moglie.
13 giugno2005: Dopo 10 giorni di "attesa" di un colloquio chiarificatore con la mia compagna ed essermi allontanato per 5 giorni da casa, al mio rientro nel mio laboratorio, disperato e spaventato ad un livello indescrivibile, mi "appendo". Fuori ci sono il 118, i vigili del fuoco, i carabinieri; sono proprio loro che scatenano il mio gesto. La vergogna, l'indicibile angoscia, il sentirmi in trappola mi ha corroso ogni tipo d'inibizione e senso della realtà. Ero rientrato in cerca di un colloquio chiarificatore e mi sono trovato un immenso muro di stupidità, presunzione e inqualificabile modo d'agire.
Inserito:  27 Ago 2009 16:52
Laurella, che dire.... ti sono vicino, qualsiasi cosa tu stia vivendo.

Antonio, la tua storia si sta avvicinando ai giorni nostri e qualcosa in ciò che scrivi mi inquieta. Il timore che Bruno ti controlli... Il cercare di attendere il 10 settembre a quanto pare senza successo... Cosa stai cercando di dirci?

Non aver timore di occupare questo spazio. E' tuo quanto di tutti noi che ti leggiamo. E non aver paura di perdere tempo nello scrivere perchè nessun tempo è tempo perso.

Ti abbraccio, Antonio.
Inserito:  27 Ago 2009 18:42
15a Parte - Una storia: La mia vita

Grazie. Grazie di cuore ziofester per avermi letto. Non desidero inquietare nessuno. Ho aprofittato in maniera scorretta per inviare un messaggio a Bruno, amico che stimo profondamente, infermiere del DSM. La mia determinazione è massima, almeno quanto l'impegno che ho messo nel procedere nella mia intera esistenza.
Ho cercato di riposare un poco e quindi, ora sono nuovamente in grado di rosicchiare ancora un pò di spazio. Negli ultimi giorni, mi sono assillato per l'uso che sto facendo di questa opportunità ed ho inviato due mail per sapere se potevo procedere.

H troppe domande a cui non riesco dare una spiegazione logica e convincente e queste mi hanno letteralmente scardinato. Non sono stato educato a non trovare risposte adeguate e questo, è demolente.

Persi i sensi e mi rianimarono. Mi lasciai convincere ad andare in ospedale per curare le ferite profonde sul collo. Arrivai quindi nel reparto distaccato di psichiatria. Mi avevano rotto un piede nel trambusto del momento. Ritrovai immediatamente il mio spirito, e considerai il tutto non solo corretto ma adirittura ovvio. Subito dopo una profonda delusione. Nessuno si interessava di sapere del perchè avessi agito in tale sconvolgente maniera. Ho quindi iniziato uno sciopero della fame e della sete durato 5 giorni. Per chi non è uso  frequentare tale ambiente, tutto è singolare, stupefacente. Ti rendi conto dell'abitudine dei medici e degli operatori di essersi "costruiti" una corazza per continuare ad operare in tale ambiente. Abituato da sempre a tenere un diario, continuai. Abituato da sempre ad osservare e cercare di comprendere, continuai. Man mano che scoprivo quel "mondo parallelo", mi rendevo conto del "sistema malato" che con esso conviveva. Ho centinaia di aneddoti, esempi, che possono testimoniare ciò che dico ma, che ora, non è il caso che io vada a descriverli.
Al 9° giorno di degenza arrivò il medico (psichiatra) del distretto a cui io appartenevo. Il 12° giorno, venerdì 10 giugno 2005, vengo informato da tale medico che il 13, lunedì prossimo, verrò dimesso. A tale medico avevo spiegato che la ragione fondamentale per aver compiuto tale gesto, era l'angoscia di non aver ottenuto, da parte di mia moglie, non solo la sua comprensione e condivisione ma addirittura, il suo volermi obbligare a continuare a procedere a lavorare per tale individuo e che anzi, lei avrebbe proseguito in tale progetto. Gli chiesi aiuto; di essere presente ad un colloquio tra mia moglie e me. Rifiutò con sdegno anzi, mi invitò a rivedere la mia posizione. Vent'anni più giovane, pieno di sè, mi stava dimostrando palesemente di non aver ascoltato neppure una parola di quanto dettogli. Domanda. Se uno arriva a togliersi la vita piuttosto che continuare a procedere in un determinato impegno, pensa realmente egli, sia il caso d'insistere in tale direzione? A meno che ... (vedrete più avanti).
27 giugno. Vengo dimesso come stabilito. Nessuno ha nemmeno pensato che forse fosse il caso di avvisare i famigliari, i parenti prossimi. Un imbecille  riuscirebbe ad agire meglio, senza per questo, disturbare la deontologia, la professionalità, il semplice buon senso o l'opportunità. Nella notte, in parte a piedi (togliendomi il gesso), rientro a "casa". Alle 2,30 vi giungo; per non disturbare il sonno, salgo attraverso i balconi sino a quello adiacente la "mia" camera da letto. Mi siedo ed aspetto, pazientemente, la mattina. Desidero un colloquio, desidero spiegare che non trovo morale ne etico si voglia persistere nel voler proseguire in ciò che IO non posso più svolgere.
28 giugno 2005, martedì 07,30. DEBBO INTERROMPERE NUOVAMENTE, l'ansia mi stà divorando.
Inserito:  27 Ago 2009 23:42
Caro Zio Fester,
grazie del tuo pensiero, ti sento vicino. E ringrazio ancora questo servizio che mi permette di affrontare meglio il mio quotidiano.

Caro Antonio,
ti abbraccio sempre tanto.
Inserito:  28 Ago 2009 11:38
Ciao Antonio,
"Nessuno ha il diritto di spegnere una vita umana " riporto questa tua frase .... l' hai scritta tu e se l' hai scritta è perché ci credi, da quello che ho potuto leggere della tua storia non sei qualcuno che dice e fa le cose con leggerezza .... e quindi ti chiedo di riflettere su questa tua affermazione ...
Non sono ancora riuscita a leggere tutto quello che hai scritto, ma ne sono rimasta profondamente colpita ... per la forma .... per i contenuti ....per l'incredibile bagaglio di esperienze.... Sento l’intensità di questo dolore che ti sta divorando ma dalle tue parole emerge anche forte fortissimo un attaccamento alla vita, ai doni della natura insiti in ognuno di noi ( e continuo a citare le tue parole). La tua vita, le tue vittorie e le tue sconfitte sono davvero una grande testimonianza di vita, una vita  vissuta tuttora con una grande tenacia , forza interiore e  volontà  che le tue innate doti di scrittore hanno reso palpitanti, coinvolgenti e che hanno suscitato in me una profondissima emozione.
Non sarò collegata ad internet nei prossimi giorni, ma riprendendo la citazione di Laurella, a cui vorrei far sentire tutta la mia vicinanza in questo momento difficile, “'Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui  raccontarla “…..
TU  HAI  una buona storia e qui ci sono persone a cui puoi raccontarla e che sono pronti ad ascoltarla …. Ed io tornerò ad ascoltarti …
Un abbraccio grande e forte  a tutti e due.
Inserito:  28 Ago 2009 21:08
Sono impressionato dal numero elevato di coloro che hanno "curiosato" in questo Forum. Ringrazio tutti per questo. Un particolare saluto lo dedico a Laurella, che considero una antica amica e con cui debbo scusarmi per non averle manifestato, recentemente, la solidarietà per l'ennesima sofferenza che sta provando. Sono certo che comprenderà la tensione che mi stà accompagnando in questo ultimo stadio. Anche la forma, gli errori nello scrivere dimostrano il mio tremendo stato. Prevale però il desiderio di raccontare questa assurda vicenda. Ringrazio anche l'amico ziofester e mi scuso con lui per l'inquietitudine che gli ho trasmesso. Vedi, amico mio, sto scrivendo di getto e quindi ogni ansia, ogni angoscia e stato d'animo viene "trasmessa" sul foglio bianco. In realtà, sto parlando con me stesso e provo le stesse profonde sensazioni di quando ho attraversato quell'incredibile tifone. Do il benvenuto a "vele spiegate" (che stupendo nick-name ti sei scelta; regala una immagine di forza, volontà e di potenza). Ti ringrazio per le tue belle parole, anche di quelle che, uno scrittore vero, rabbrividerebbe al solo sentirle. E' tuttavia vero che uno dei miei progetti per la vecchiaia, era proprio di imparare a scrivere decentemente; scrivere qualche romanzo sull'argomento "mare" era un mio sogno nascosto.
Più avanti, anche tu comprenderai le ragioni per cui sembrerebbe che, in alcuni casi, sostengo un concetto e poi...agisco differentemente. Non posso tradire i miei pensieri e concetti, essi sono il frutto della riflessione, della sensibilità e di una intera vita vissuta con entusiamo tuttavia, guardando il risultato realizzato è uno scoforto immenso che mi avviluppa. Mi occorreva un piccolo aiuto, un modesto incoraggiamento per stimolare il desiderio di ricominciare. Non l'ho ottenuto. Avrei restituito tre volte di più, avrei adoperato la mia tenacia, forza e fantasia per cercare di portare sollievo ai bisognosi. Alcune esperienze, dolorosissime, acquisite e sofferte in questo ultimo periodo della mia vita, mi hanno dato l'opportunità di scoprire aspetti sociali ed umani che non sospettavo neppure esistessero. Esempio. Davanti a tragici fatti di cronaca, sostenevo che occorresse essere severissimi e quindi, "buttare la chiave". Vissuto la realtà, ho compreso della sciocchezza che ero uso ripetere. L'ignoranza, il non conoscere, troppo sovente, ci porta a giudizi totalmente errati. Tra coloro che mi hanno aiutato di più sono stati i rumeni, i marocchini, gli albanesi. Raccontavo loro dei paesi visitati (Galatz - Romania, sul Danubio per esempio), e questo bastava per ricevere una sigaretta, un saluto, un caffè, una semplice stretta di mano. Tradotto: l'amicizia, la condivisione delle proprie sofferenze, la fiducia.
Nella stessa maniera, simili esempi li ho riscontrati nelle comunità psichiatriche in cui mi hanno "parcheggiato". Operatori extra comunitari, poveri degenti che non hanno mai vissuto una vita autonoma e decente. Ripeto, ho scoperto dei mondi incredibili, sconosciuti ma ... che prezzo ho pagato! Un costo esorbitante! Dopo, era indispensabile un gesto, un sorriso, una semplice carezza ... La volontà, allora, era ancora intatta. Dopo tre anni c'è solo cenere.
In questo ultimo mese ho girovagato sulla rete, conoscendo l'inglese ed il francese, ed un poco di spagnolo, è stato facile, e con un pò di fortuna ho trovato siti di psichiatria, psicologia, prevenzione al suicidio etc. E' stato interessante, ho letto storie, racconti, spiegazioni, consigli. Sono 8 mesi che non esco dal mio ricovero ma è come se avessi viaggiato. Non ho potuto, ovviamente, discutere con nessuno ciò che ho appreso e letto, e questo, ha un pò mortificato il piacere. Più apprendi e più ti accorgi del "piccolo" mondo in cui vivi, degli errori, delle incredibili presunzioni che coabitano in crani a te vicino e questo, ti isola sempre di più, sempre di più ...
Uno dei miei precetti è stato sempre e da sempre: "ottieni di più con una pacca sulla spalla che con cento calci nel culo" (chiedo scusa per la rudezza). Troppe persone, oggi, ignorano tale grande verità. I risultati si vedono tutti ed io, sono stanco. A presto e una carezza a tutti.
Inserito:  29 Ago 2009 15:25
16a Parte - Una storia: La mia vita

Martedì, 28 giugno, 07,30. Chiamo mia moglie al telefono e le chiedo se mi permette d'entrare in casa. E' sorpresa. Non mi aveva creduto quando, il venerdì precedente, la informai del mio rilascio. Semplicemente, non desiderava io tornassi a "casa"; mi aveva invitato a recarmi nel mio laboratorio! Ero un "malato" e per questo, da tenere in quarantena. Mi apre, io mi siedo sul letto e piangendo le spiego che il suo persistere nel volermi obbligare a continuare un rapporto che mi stà esaurendo, e che, in caso di mio rifiuto, il suo intendimento di sostituirsi a me nel continuare a svolgere il lavoro, mi umilia e mi ferisce; non lo trovo ne etico ne morale. Scendiamo in cucina, la informo che in ogni caso, quando il "cliente" si renderà conto di avermi perso definitivamente, non mi sostituirà con lei, rinuncerà e si rivolgerà altrove. La informo altresì che così comportandosi, non mi lascia altra alternativa se non quella di non partecipare più alla vita attiva. Niente lavoro, niente uscite, niente di niente. Solo restare a letto e presentarmi a tavola, se si riterrà opportuno continuare a cucinare. Aveva ricevuto 20.000 € dal "cliente", ed aveva aperto un conto personale. Lei stessa mi informò di tale sviluppo. Non riusciva a comprendere che ciò confermasse come quest'individuo, la usasse per costringermi a piegarmi e che, una volta resosi conto che non è ancora nato chi mi costringerà, in modo brutale, a sottomettermi (l'esperienza, mai assopita, di avere avuto un padre-padrone mi ha strutturato), la abbandonerà, non ha capacità ne competenze per sostituirmi. Mai una previsione risulterà più esatta.
Per dimostrarle la mia determinazione, mi strappo i vestiti che indosso. Si reca al piano di sotto in cerca di mia madre, nel frattempo io controllo il fax. Mi rendo conto che stà, effettivamente, proseguendo nel suo progetto. Accecato dalla rabbia, demolisco il fax, la stampante ed il monitor del PC. Ritorna, resasi conto dei danni commessi, mi aggredisce in maniera violenta. Cadiamo a terra, urla frasi incoerenti, io, terrorizzato che salga mia madre, le metto una mano sulla bocca. Non posso sentire quegli insulti. La lascio, lei ridiscende. Mi reco in camera e stravolto, mi corico nel letto. Alcuni minuti e mi rendo conto che è tornata e che stà nuovamente scappando con qualcosa sottobraccio. La inseguo. Mi inciampo (ho tolto il gesso da poche ore), le rovino addosso. Lottiamo, lei urla. Nuovamente le metto una mano sulla bocca. Poi ... un sospetto. Forse non c'è il dossier che ho preparato per portare in Tribunale il cliente, in quella piccola borsa che tiene così tenacemente sotto braccio, forse lì dentro, ha i soldi ... Tolgo la mano, chiedo conferma. La mollo e le dico: "Non sono i "tuoi" soldi che voglio". Lei esce, io distrutto, ritorno nel letto. Passano 2, 5, forse 10 minuti, arrivano... 118, pompieri, carabinieri. Intimo a tutti di sparire. Inizia il dramma.
Inserito:  29 Ago 2009 22:53
17a Parte - Una storia: La mia vita

Il maresciallo, comandante della stazione C.C., si accomoda, come se fosse casa sua, sulla poltroncina in camera da letto, si accende una sigaretta, usa come portacenere, il piattino sottobicchiere che mia moglie è abituata a portare ogni sera in camera. Lo minaccio. No! Gli prometto che lo querelelò per l'abuso commesso durante la mia permaneza in psichiatria. Ha umiliato profondamente mia moglie e me. Si "arrampica sugli specchi", nega, cambia versioni più volte... dimostra quanto sia vile e meschino. Si allontana. Io, credo sempre che rivogliano portarmi nuovamente in psichiatria. Più tardi ricompare, si riaccomoda sulla poltroncina. Cerca invano di convincermi a seguirli, trascorre così circa mezz'ora. Io chiedo venga fatta venire mia moglie, perchè solo su suo desiderio accetterò di seguirli. Mi viene risposto che mia moglie è stata portata al Pronto Soccorso per un controllo. Mi allarmo in maniera spaventosa. Al suo posto, mi portano mia madre. Inferocita, mi urla di tutto, la debbono trattenere i carabinieri. Sono distrutto, impaurito, non riesco a capacitarmi di cosa possa essere successo a mia moglie. Non sarà l'unica volta che mi preoccuperò per lei trascurando completamente la mia situazione. Il maresciallo, riceve una telefonata, capirò più tardi che essa è la convalida, da parte di un Magistrato, per il mio arresto. Mi vesto con vestiti di fortuna (i miei si trovano tutti in valigie nel laboratorio), li seguo in pantofole da camera. Mi promisero di fermarsi in laboratorio e lasciarmi prendere i miei abiti. Partendo, il Maresciallo, comandante della stazione dei C.C., prende uno dei numerosi libri che tengo in camera da letto, "Le profezie di Nostradamus" e mi dice: "questo mi interessa, lo prendo per leggerlo"! Non ho parole, penso a mia moglie. In caserma resto per ore in sala d'aspetto, credo che attendino un mezzo per trasferirmi in psichiatria. Gente che entra, gente che esce; chi in borghese, chi in divisa. Verso le 15,00 mi portano in un ufficio ove è presente un ufficiale. Mi porge un foglio scritto a macchina con in calce la firma di mia moglie. Lo leggo. Mi crolla il mondo. E' una denuncia per tentato omicidio! Crollo in un pianto disperato. Domanda: come possono avere un foglio dattilografato con la firma di mia moglie in calce se, mia moglie è stata portata al pronto soccorso a più di 25 km. di distanza, ed in casa (cucina di mia madre), ove viene ascoltata, non esiste macchina da scrivere? Le hanno forse fatto firmare un foglio in bianco e quindi, successivamente, scritto ciò che ritenevano più "opportuno"? Qualcuno stava cercando, forse, di proteggere la propria carriera da una promessa di denuncia? Questo, non sarà che il primo dei bizzarri comportamenti che assisterò più tardi. A meno che ... io sia, tra le altre cose, un paranoide incredibile. Non sto quì a descrivere l'angoscia ed immensa vergogna che ho provato quando, trasferito ad Aosta, al comando dell'Arma, vengo fotografato, prese le impronte digitali, schedato e, sempre in pantofole, trasferito nelle carceri regionali. Dal dramma, passiamo all'umiliazione devastante, inumana! Lì giunto, le umiliazioni non si contano più. Si ripete tutto l'iter della schedatura, della perquisizione, anche corporale. Poi la "visita medica" ove, un individuo (non meglio identificato), ti chiede, in maniera volgare e sarcastica, cosa sei uso ad inniettarti, a fumare. Ti consegnano una bacinella di plastica, una coperta due lenzuola, una federa, un piatto con posate e bicchiere di plastica, un sacchetto della spazzatura (che da oggi in poi sarà la tua "valigia")e ... ti "accompagnano" in sezione. Cancelli, corridoi, scale, senti un odore inconsueto, ti accorgi che la pulizia ti ricorda il collegio, le caserme, ovvero uno spreco di detergenti ma la sporcizia è ovunque, inizi a sentire il suono che ti accompagnerà per sempre: il tintinnio delle chiavi enormi e dello scatto delle serrature sulle innumerevoli barriere in acciaio. Arrivi in sezione, sei stravolto, ed un urlo di benvenuto ti giunge da tutte le celle (pardon, nei vari opuscoli che avrai modo di leggere, non dentro ma fuori, vengono descritte come "camere"). Sei stato messo nella sezione C2, cella 6. Quattro metri per 1,80, due brande a castello, un bagno con lavandino, W.C, 1,50 x 0,80, acqua solo fredda, e che funge anche da cucinotto come nelle roulotte! Un materasso in lattice, marcio e pieno di macchie indefinibili (sembra che lo abbiano usato per sgozzare un maiale). Il tuo compagno, nel mio caso un tossico dipendente, spacciatore, pluripregiudicato per furti, che deve "auto-rieducarsi" per altri quattro anni, ti spiega le prime cose "utili ed indispensabili". Ti confidi e lui ti informa quanto ti devi aspettare: nel mio caso un minimo di sette anni! Non so come è trascorsa la notte, alle 4,30 ho il cuore che stà andando per fatti suoi! E solo l'inizio di un calvario. Sono già colpevole, mi trovo nella sezione dei "definitivi" (coloro che hanno già subito il processo e che stanno pagando il loro debito, e sopratutto, si stanno auto-rieducando), nonostante la legge dica che, sino a condanna avvenuta, io sia solo un inquisito in attesa di giudizio. Devastante, disumanizzante, e non è ancora niente rispetto a quello che vedrò, godrò ed assapporerò!
Inserito:  31 Ago 2009 21:24
18a Parte - Una storia: La mia vita

Secondo giorno. Mi sento rinchiuso in una gabbia e penso a coloro che soffrono di claustrofobia. C'è da impazzire. Alle otto, prima colazioni in camera. Avevo notato all'entrata del minuscolo bagno-cucinotto, l'esistenza di diverse bottiglie di plastica a cui era stata "tagliata" la prima terza parte della bottiglia. Ora comprendo la ragione, è diventato un contenitore che passa, a misura, attraverso lo spazio delle sbarre in cui vengono consegnati i pasti. Quel foro quindi, servirà anche per razionare, indirettamente, gli alimenti. Il latte viene distribuito solo alla mattina e così, più ne puoi prendere e più riuscirai a utilizzarlo in altri momenti della giornata, solo o con il thè che, se sarai fortunato di possedere dei soldi, ti potrai acquistare insieme ad un fornellino a gas da campeggio, una caffettiera, zucchero etc. Tuttora ho mantenuto tale abitudine di usare le bottiglie. Come coltello si usa il coperchio delle scatole di tonno o di pelati sempre che, sia possibile, rientrino nel tuo budget. Solo due esempi per dimostrare che entrando, di colpo, in tale ambiente si viene immediatamente demoliti e che reazioni incontrollabili della mente sono altamente probabili. Infatti, ho una crisi isterica, e pur ricordando tutti i particolari, perdo momentaneamente la ragione. Vengo fatto uscire di cella e portato in un locale presente nella rotonda. Tengo bizzarramente le pantofole in tasca per paura che si consumino, a dimostrazione del mio stato. Dopo circa mezzora vengo fatto entrare in un altro minuscolo locale adibito ad infermeria. Mi viene somministrato un farmaco amaro sotto la lingua e fatto distendere su di un lettino. Mi sta esplodendo il cuore ed il "medico" consegnandomi una biro mi invita a scivere. Al mio informarlo che non possiedo carta su cui esercitare tale consiglio risponde: "scrivi sui muri, per terra, ma scrivi, scrivi". Comprendo in quel momento la realtà di quel luogo. Sei diventato un numero. Il "tu, vieni quì" è il modo per apostrofarti, hai perso ogni forma di dignità. Da sempre sei un delinquente e da sempre questo era il tuo posto! Impari così la terminologia del luogo. Gli Agenti, guai chiamarli guardie, si chiamano tra loro: "Collega". Comprendi la ragione mà ciò non di meno ti sembra assurda, irreale, paranoica.
Giovedì 30. In manette vengo caricato su di un cellulare e portato in Tribunale per la 1a udienza. Da essa dipenderà la tua sorte. Nessuno te l'ha spiegato, essa è l'udienza di convalida d'arresto o la tua rimessa in libertà. In ambo i casi sarà un incubo. Nel primo caso inizierà un iter di cui non hai minima idea e che, potrà modificarsi, allungarsi, avvitarsi in un percorso incredibile e che solo gli addetti ai lavori sapranno le cause e le ragioni. Nel secondo, tornerai libero e ti sembrerà di esserti scontrato con un TIR e di esserne sopravvissuto, il ricordo (incubo) sarà perenne. Ovviamente, io ho diritto alla prima opzione, sarebbe poco "formativa" la seconda soluzione benchè io, non abbia alcuna precedente relazione con la Legge, ne querela o accusa. Il giorno successivo ricevo il documento che mi informa di tale decisione. Una frase mi colpisce. Sostanzialmente viene scritto che non vi sono ragioni per non ritenere infondate le accuse. La terminologia, il linguaggio burocratico è da solo un bijou; debbono applicarsi per rendere anche i concetti più semplici... incomprensibili;  che dovrai impegnarti seriamente per comprendere cosa vogliano affermare con quell'uso abnorme di vocaboli di non uso comune. Lunedì 4 luglio, settimo giorno, vengo convocato in un ufficio alla presenza del P.M., mi informa di stare calmo e che quello non è un luogo per me confacente e che quindi, ha dato disposizioni al mio avvocato d'ufficio per trovarmi un luogo ove essere trasferito. Piango.
Galleggio per l'intero mese. Osservo, ascolto, imparo, tengo un diario minuzioso. Altri detenuti mi regalano un accappatoio, un paio di scarpe, delle ciabatte con cui posso fare la doccia, una caffettiera, dello zucchero, del caffè ma sopratutto, mi regalano delle cartine e delle bustine di tabacco. Il mio compagno, bravissimo nel preparare "cannoni", mi assiste nel fabbricare le sigarette. Sono atroci, cuociono i polmoni, ma ti regalano qualche pausa all'incredibile stress. Dormo due ore per notte, non riesco a toccare cibo, solo il latte e il caffè che il mio compagno mi offre, riesco a deglutire. Altri regali stupendi, delle biro e dei fogli di carta, quaderni e blocchi notes, delle buste e dei francobolli. Purtroppo, anche spicevolissime esperienze di cui però non farò parola in questo forum.
Inserito:  01 Set 2009 00:49
Caro Antonio,
mi rendo conto di quanta angoscia puoi aver provato nello scrivere di avvenimenti così dolorosi. E di come  il dolore più grande sia stato, e forse lo è ancora, quello di essere stato tradito dalle persone che amavi, che non hanno avuto la forza di accettare le tue debolezze condannandoti alla pena più grave. La tua è una storia dalle conseguenze  estreme ma, insegna come a volte basti così poco per  ritrovarsi in un incubo. E di come le persone a noi care diventano le più "cattive" proprio perché sono deboli a loro volta.
Cerca di perdonarti, almeno tu, per quello che hai subito e sofferto e non farti altro male.
Credimi, non te lo meriti.
Volevo dirti, qualche giorno fa, della differenza che esiste tra errori e colpe, tra responsabilità e condanna. Errori e responsabilità sono aspetti umani su cui ci si può lavorare, e ai quali si può reagire e rimediare. Le colpe e le condanne, invece, sono macchie indelebili che peseranno per sempre sulla nostra coscienza, sia che siano gli altri ad attribuircele, sia che siamo noi stessi a convincercene. Non è facile, ma capire e prendere consapevolezza di questo cambia un po' il concetto sia di vittima che di carnefice. E, forse, aiuta a venire fuori da queste spirali distruttive.
Nei gruppi di auto-aiuto che ho frequentato in passato, ho imparato una lezione molto importante quanto semplice: nella vita ci sono cose che possono cambiare e altre, no. Ci sono cose che non possiamo evitare come le malattie, la vecchiaia, la morte nostra e, ancora peggio, quella dei nostri cari. Non possiamo far cambiare idea agli altri su come ci vedono, per quello che abbiamo fatto o detto, o semplicemente per quello che siamo. Ma possiamo fare tanto prendendoci cura di noi stessi, evitando di condannarci a morte e di farci ancora di più del male di quello che già abbiamo vissuto.
Ogni ferita col tempo fa le sue cicatrici, che esisteranno per sempre, che ci hanno cambiato per sempre, e che sempre, di tanto in tanto, ci faranno male. Ma anche così si può vivere e recuperare.  Se, invece,  continuiamo a far sanguinare
le nostre ferite e a vivere di quel sangue, come se non fossimo nient'altro, ci neghiamo la possibilità di "guarire", condannando noi stessi, e chiunque voglia starci accanto, ad una non-vita parallela alla realtà che, per quanto difficile, è sicuramente varia di opportunità e di crescita.
Contro tutte le cose che non possiamo né evitare, né cambiare, possiamo imparare a volerci bene e a ritenerci degni di stare a questo mondo, perché ci meritiamo almeno un pò di serenità e di amore.
Ti abbraccio.
Inserito:  01 Set 2009 12:39
19a Parte - Una storia:La mia vita

25 luglio 2005. E' il mio 28° giorno di angoscia profonda e mentre mi trovo all'aria nel cortile, mura alte 5 metri, selciato ormai logoro e pieno di residui di lamette e cicche, ove le "passeggiate" dei frequentatori hanno un che di inquietante, patologico, nervoso, ove un angolo è off-limits in quanto coloro di fede musulmana esercitano, su dei tappeti, il loro atto di fede ad un dio che non li ascolterà, ove alcuni fanatici del "mantenere il fisico in forma" corre lungo il perimetro e quindi di fatto, riducendo di molto lo spazio degli altri utilizzatori. Mentre accade tutto questo, vengo chiamato da un Agente. Un imbarazzo immenso mi assale, tutti gli sguardi sono posati su di me. Ogni singola novità crea in tutti uno stato d'ansia e tante domande senza risposta. Cosa avrà fatto, gli avranno trovato qualche cosa in "camera"? Ha forse mancato di rispetto a qualche Agente? E' forse un infame (vocabolo di ampie interpretazioni e utilizzatissimo)? Io sono indigeno, parlo diverse lingue e quindi non rifiuto il colloquio a nessuno. Uso l'inglese, il francese, descrivo i luoghi adiacenti la Casa Circondariale, il mio crimine di esistere, mi informo delle loro esperienze. Un buon 65% è di origine straniera, marocchini, albanesi, kossovari, rumeni, un tedesco, un turco, quasi tutti provengono da altre carceri. Aosta, funge da polmone, è un vai e vieni continuo e questo, è un aspetto molto negativo. Non è possibile partecipare a laboratori, attività educative che permettano di "estranearsi" dal proprio personale incubo. I tempi sono dilatati, scanditi da un regolamento a volte bizzarro, inconsueto, singolare. Un agonia del corpo e dell'anima. Omicidio sociale.Cosa si crede di rieducare, di rinsavire, di risocializzare se il metodo "correttivo" è di così pregiata fattura? Comprendo allora, del perchè di tanti recidivi. Vengono "dimessi" per molte ragioni tra cui il sovraffollamento. Il pericolo maggiore, anche in questo caso, non stà nei detenuti i quali, possono essere "demoliti" con sistemi più energici e totalmente silenziosi (nulla verrà percepito fuori da quelle mura, e comunque una "verità" istituzionale, non la Verità). Il problema sono coloro che "lavorano", coloro che debbono provvedere a che il "regolamento" sia applicato. Il 99,5% di origine sarda, campana, siciliana etc. ovvio conprenderne la ragione. Quasi tutti di poca cultura, quasi tutti hanno cercato sbocchi in altri corpi dello Stato, questa è la loro ultima spiaggia. O dentro a controllare o dentro ad essere loro stessi controllati. C'è però un aspetto positivo in questo mare di fango, hanno portato con loro una umanità, una sensibilità che solo coloro che sono vissuti in ambienti corrotti dalla fame, dalla miseria possono avere. Non li invidio, non li giudico, ho per loro un profondo rispetto; per uno stipendio miserevole, hanno "diritto" all'ergastolo. Loro sì sono i veri carcerati e non potranno mai utilizzare di indultini, indulti, sconti di pena o quant'altro porti una diminuzione di pena. In subordine a loro, vi sono i volontari che sacrificano tempo, affetti ed umanità. A differenza dei primi, non vengono pagati ma sono liberi di continuare a svolgere la loro meritoria opera oppure di dedicarla altrove. Hanno il grande merito di essere dei testimoni e quindi, in qualche modo essere dei "ponti" con la Società. Sono moltissime le cose che vorrei descrivere e raccontare ma, il mio tempo è limitatissimo e lo spazio che ho rubato ancora di più.
Quel 25 di luglio è il giorno del mio trasferimento agli arresti domiciliari in una comunità di riabilitazione psichiatrica, ubicata ai confini tra la Valle d'Aosta e il Piemonte. Un altro terrificante periodo della mia vita che, si tingerà di giallo e ove assisterò ad una farsa di proporzioni gigantesche, immorali e vili.

Cara Laurella, ti ringrazio di continuare ad accompagnarmi in questo tormentoso percorso. Condivido il tuo pensiero. Il "bello" di questa triste vicenda stà iniziando adesso, dopo comprenderai la ragione per cui mi è stata "strappata" ogni possibile idea di reimpostare tutto da zero. Non è razionalmente possibile che un numero così alto di "personaggi" si scagli contro di te, una ragione pur piccola deve esserci. Io non la intravedo e questo, stimola enormemente il mio severissimo giudizio con me stesso. So che sia difficile da comprendere tuttavia come tu scrivi, le ferite, tutte (tranne una), con il tempo si cicatrizzano e forse, aiuteranno anche a vedere meglio e più chiaro il proprio percorso e il compito che ognuno di noi ha nell'esistere tuttavia, quell'unica ferita è così profonda e dolorosa che annulla tutto, ti opprime e ti distrugge. Ho il merito/difetto di analizzare tutto, esercizio automatico, ed ho quindi "trovato" questa ferita così profonda, non possiedo i mezzi per "curarla", le mie risorse sono prosciugate, l'aiuto, richiesto, per poter anche solo fingere di non sentire la presenza di tale ferita, non mi è stato dato e questo ha innescato un processo innarrestabile, autodistruttivo. E' vile, gettare la propria vita ma più vile è non portare soccorso. Errori madornali sono stati commessi, non hanno voluto ascoltarmi, ho dovuto persino procedere a diffide scritte. Le sofferenze hanno un pregio, in fondo aiutano a comprendere il vero valore della esistenza. Ma quando queste superano una certa soglia divengono... demolenti, inutili, gratuite ed insopportabili.
Ricevi un grosso abbraccio ed una carezza.
Inserito:  01 Set 2009 16:58
20a Parte - Una storia: La mia vita

Ti debbo molto Laurella. Il tuo primo messaggio (31 luglio) mi ha incoraggiato a procedere nel racconto della mia vita e questo, ha rappresentato per me, una sorta di disperata liberazione delle angosce che mi demoliscono. Avrei desiderato che "mia figlia" potesse leggere tutto quello che descrivo, di chi fossi in realtà. Non per trasmetterle le mie angosce o per sovraccaricare le sue, semplicemente per poter instaurare un rapporto, seppure in lontananza, nuovo, migliore, più profondo e più consapevole. Avrebbe aiutato entrambi. E' l'ultimo sogno infranto, in un silenzio demolente e distruttivo.

Dal mio diario e dalla prodigiosa memoria che possiedo, potrei raccontare ogni singolo momento vissuto all'arrivo nella Comunità, agli arresti domiciliari. Mi limiterò a descrivere gli aspetti più ... importanti, tralasciando le impressioni e gli incredibili fatti a cui assisto incredulo.
Mi adeguo all'ambiente, ovviamente mille volte più umano del carcere. Cucino, lavo i pavimenti, i bagni insomma partecipo alla vita della Comunità. Aggiusto incovenienti nell'impianto elettrico, metto in funzione il forno a microonde. Tutto questo mi permette di dissociarmi, temporaneamente, dai miei problemi. L'abulia del carcere, l'ambiente, persino i drammi umani che vedo mi aiutano enormemente a relativizzare la mia posizione. Non è stato facile e nemmeno agevole, molti i momenti di angoscia e di ansia. Mi dedico a cercare di trovare un filo di colloquio con i miei famigliari. Scrivo lettere su lettere, telefonate su telefonate. Incomincio a prevedere un percorso fattibile una volta che questo incubo sarà terminato. Esploro ogni singola possibilità per ricominciare da zero. Nel caso impossibile di un riavvicinamento con i miei famigliari, un nuovo impiego (anche all'estero), una nuova compagna a cui riversare tutto il mio affetto, una nuova vita. Mi confido con alcuni Operatori, chiedo la loro opinione, sogno... e in qualche modo riprendo a vivere, a ricquistare la mia autostima.

Un silenzio angosciante da parte di mia moglie e di "sua" figlia. Poi, improvvisamente, due sue telefonate mi confermano della sua consapevolezza del Non mio volerla sopprimere. Incredibilmente, una sua "visita" il 7 settembre. Il suo voler fare all'amore con me (mi trovo nell'unica stanza singola).Il suo ritorno il 10, portandomi: tavolino, abat-jour, radio, libri, note-book e tanti altri oggetti tra cui ... un pacchetto di arachidi di cui vado ghiotto e di cui, a casa, era "proibito" introdurre. Iniziamo a ricostruire un piano "immaginario" per dopo. Apprendo notizie di cui sono allarmato tra cui: mia madre e mia sorella si sono scagliate in maniera feroce contro il direttore del D.S.M., colpevole secondo loro, di avermi dimesso dal suo reparto in quanto, "malato". Comprendo immediatamente il pericolo che corro, debbo il più velocemente possibile allontanarmi dal luogo ove sono "parcheggiato". La meschinità umana non ha limiti, non si ferma mai anche a costo di usare mezzi illeciti, vili e falsi. Il 13 settembre, ritorna. Sia in questa data che in quella precedente, pranza o cena con la comunità, ogni volta abbiamo due rapporti sessuali. La fotografo, durante i rapporti e fuori sul terrazzo. L'abitudine di prevedere ogni possibile aspetto o evoluzione è innata. Le spiego che per sua salvezza deve allontanarsi, il prima possibile dal luogo ove vivevamo. Prevedevo che, dopo un primo momento, di totale condivisione di atteggiamenti e giudizi nei miei confronti, successivamente, avendo il tempo dato modo di rendersi conto che i fatti non corrispondevano assolutamente alla realtà, le si sarebbero rivoltati contro. Ero disposto a tutto ma non a questo, lei restava l'unica persona che avrei difeso e protetto a qualsiasi prezzo. Lei, rappresentava un pezzo importante della mia vita, una componente essenziale dei miei sogni giovanili. Tradirla era tradire me stesso. Inammissibile.
Altro aspetto fondamentale è, con la sua partenza nulla ostacolava il mio trasferimento, agli arresti domiciliari, nel mio alloggio. Primo vantaggio: al riparo da eventuali "vendette". Secondo, non trascurabile beneficio, trovarmi nel mio ambiente, con i miei libri, interessi, ricordi.
Ho provato più volte a convincere mia madre di accettarmi a casa, ho ottenuto solo brucianti rifiuti. Io ero "malato", necessitante di cure psichiatriche, a nulla serviva spiegare che non ero sottoposto a nessuna terapia o cura.
24 settembre 2005. Come temuto mi crolla addosso un macigno enorme che mi fa a pezzi l'anima, il corpo e la mente.
Inserito:  02 Set 2009 15:26
21a Parte - Una storia:L mia vita

Vengono i carabinieri in Cominità. Mi porgono un foglio e gentilmente mi invitano a prendere le mie cose e seguirli. Si meravigliano di tutta l'attrezzatura che dispongo. Motivo? Sono stato accusato di aver tenuto comportamenti VIOLENTI contro gli Operatori e gli altri degenti. Una mazzata bestiale. Crollo totale. Un immane senso di vergogna, mancanza totale di giustzia, desiderio di difendermi mi assale e mi devasta. Solo più tardi riuscirò a ipotizzare una ragione plausibile a tale denuncia. Essa, oltre a rigettarmi in carcere, avrà conseguenze distruttive che scoprirò (e scoprirete) solo in seguito, e che aggiungeranno sofferenze immense. Solo chi ha provato, sulla propria pelle, infamanti accuse e giudizi potrà comprendere appieno la devastante sensazione che si prova. E' peggio di un lutto, peggio di una malattia, seppur gravissima, peggio di un abbandono, peggio persino della morte di un proprio figlio ... è un senso di estrema solitudine che ti pervade, il desiderio di lasciarti andare, rifiutarti di combattere, ribellarti, un senso di imbarazzo estremo nel vivere. Persino ora, allo stremo delle forze, isolato, demolito, non provo la stessa emozione. Ora ho un progetto e nessuno riuscirà più ad ostacolarmi, in nessun modo. In quel momento ho solo una domanda a cui non trovo risposta: perchè, perchè un tale accanimento? Perchè mi si vuole distruggere, annientare? Persino il supposto reato commesso (infame da tutti i punti di vista), prevede castigo, isolamento, rieducazione, ma NON l'annichilimento irreversibile di un individuo.
Rientro dunque in carcere. Solite umilianti trafile. Quindi cella (pardon, "cameretta"). Sezione B2, cella 2.
Sezione, teoricamente, dedicata agli "appellanti" ovvero, a coloro già condannati in primo grado e in attesa del processo d'appello. Cosa ci sto a fare, io, che sono ancora in attesa di giudizio, e quindi "ancora" ritenuto non colpevole ma semplicemente soggetto ad indagini giudiziarie? Mistero! Incongruenze delle leggi! Quando si entra in situazioni (fottutamente) irreali, tutto diventa incomprensibile, illogico, non umano.
Il mio nuovo compagno è oggettivamente un psicopatico. Ha 43 anni di cui oltre venti trascorsi, a più intervalli, nelle patrie galere. E' un enciclopedia carceraria e di modi per esercitare il crimine di rapine. Mi sconvolge, mi terrorizza. Sono in CASA SUA, mi debbo adeguare alle sue "direttive". Non posso parlare con tizio, non posso recarmi nel campetto di calcio (una volta a settimana), debbo mangiare cosa lui ritiene più "salutare" per me, non possiedo spazi e stipetti riservati, ma sopratutto: non debbo fumare e ... debbo acquistare generi di conforto (tanti) di SUO gradimento. Immaginate, per un attimo, per un fumatore ciò che questo solo aspetto possa significare. C'è un lato positivo. Scompaiono le tue angosce pregresse, il tuo sentirti vittima di ingiustizie enormi semplicemente si ... volatizza. Vivi(?) in un terrore continuo, non dormi, non ti alzi dalla "cuccia", ti spremi le meningi (quello che ci resta) per prevenire ciò che LO disturba, provi ad ammaliarlo, a ripetere in continuazione che è unico, della "tua immensa fortuna" di avere avuto l'opportunità di conoscerlo. Inferno, quale girone?
Passa un mese, gli stessi Agenti si accorgono che qualcosa di strano stà avvenendo nella cella 2, sezione B2. Ti obbligano ad uscire, sei terrorizzato dalle conseguenze, tremi, piangi, implori, hai perso ogni dignità. PAUSA
Inserito:  02 Set 2009 17:05
21b/a Parte - Una storia: La mia vita

Chiedo scusa ma l'emozione era troppo alta, il cuore batteva ad un ritmo incredibile. Non tuttavia dal privarmi dal desiderio di descrivere le mie vicende.

Vengo quindi spostato in un'altra sezione, C1, cella 17. Nel tremendo periodo vissuto nella precedente cella, ho ricevuto un'ennesima mazzata che mi ha devastato. Molto probabilmente, la considerazione che io potessi reggere e sopportare umiliazioni, sofferenze e attacchi continui era straordinariamente radicata oppure ... che l'imbecillità dei vari attori fosse immensa. Io, sono più propenso a quest'ultima ipotesi infatti, il 4 ottobre (11° giorno dal mio rientro in carcere), ricevo una raccomandata (evento straordinario in carcere) in cui l'avvocato a cui mia madre (sì madre, mamma, genitrice) si è rivolta mi intima: 5 giorni per restituire chiavi di casa e togliere cose e persone dall'alloggio di sua proprietà.
Siamo giunti alla commedia, ad una farsa incredibile, senza tener conto delle conseguenze catastrofiche che tale atto comporterà.
Dal '73 al '79, ho inviato a "casa" ben 65 milioni per contribuire alla costruzione della casa, tutti dimostrabili, tutti sudati, tutti ... come atto del mio voler contribuire, volontariamente, al congiungimento di una famiglia e sostegno morale per la sorte infausta di avere un problema serio in famiglia. Teresa, la mia dolcissima e disgraziatissima gemellina.
Nonostante Peppino (mio assistente personale di cella, nonchè psicopatico), comprendo la ragione di tale infame atto. Si vuole buttare fuori di casa mia moglie. Non ci si cura di me, sono del tutto ininfluente. Avevo previsto un capovolgimento di opinioni ma questo, è oggettivamente spregevole ed inutile. Mia moglie era già intenzionata, e da me sollecitata, a ritornare dai suoi. L'alloggio, ai fini giuridici (non avendo mai avuto il garbo di intestarmelo e quindi, un mio disinteresse nel pretenderlo) apparteneva solo a lei e qundi, non aveva nulla da temere. Aspettare, riflettere, agire. Dopo gli sviluppi della mia situazione, con o senza mio avvaglio, si potevano prendere decisioni più obbiettive. Invece, si preferisce agire in maniera vile, umiliante, scorretta, nei miei ed in quelli di mia moglie confronti, senza pensare ai diritti che "nostra" figlia ha maturato. INFAME è l'aggettivo che trovo più appropriato per un tale atto. Non esiste amore filiale, riconoscenza, affetto che possa sopportare un atto così mostruoso e disonesto. Il mio dovere, a qualunque prezzo, è di difendere, proteggere, sostenere mia moglie, esattamente come si promette nell'atto del matrimonio. Tutto il resto passa di secondo piano, è quasi irrilevante. La meschinità e l'indifferenza dovrebbero essere considerati peccati capitali a se stanti.
Inserito:  02 Set 2009 22:22
22a Parte - Una storia: La mia vita

Man mano che scorrono i giorni e il mio appuntamento si avvicina, ho paura di non essere in grado di terminare il mio racconto. Sarebbe un peccato, un vero peccato! Debbo cercare di abbreviarlo, di togliere tutte le cose superflue. Vi confido che ho paura, un'estrema paura. E' irrazionale, senza motivo logico, perchè molto maggiore è la paura di dover continuare a vivere con le angosce che mi perseguitano giorno e notte. Gli unici istanti di tregua, li provo quando sono intento a descrivere cosa ho vissuto. Essi non sono che una parte effimera di ciò che il mio cervello stanco elabora e ricorda. Ho compreso, attraverso questo straziante ma liberatorio esercizio, molte cose che ho sempre cercato di non vedere, ad esempio che Michèle non era affatto la donna adatta a me. L'avevo idealizzata e con lei Hélène e questo, ha fatto in modo che, quando deluso dal loro agire, mi sono perso a prescindere dalle innumerevoli prove cui, mio malgrado, sono stato obbligato a percorrere. La dimostrazione ultima risiede proprio nel fatto che sono ancora qui a raccontarlo. Il dott. Pellegrino,  cui ebbi l'oportunità di conoscere alle Vallette, mi predisse tutto ciò. Il vero motivo che mi avrebbe spinto a commettere un atto anticonservativo era: per questioni di principio. In fondo, è la verità. Va però aggiunto un particolare di estrema importanza e di cui, in una occasione, portai a conoscenza del sig. Bruno, infermiere del DSM nonchè amico fraterno. Non è una motivazione cristiana e neppure razionale, è semplicemente il desiderio di punire coloro che avevano un dovere, seppur piccolo, nei miei confronti. Non parlo qui delle Istituzioni, Assistenti Sociali e così via, essi mi hanno dimostrato ampiamente che il loro fondamentale lavoro è: rubare uno stipendio. Tra i miei numerosissimi clienti ho avuto medici, chirurghi, primari d'ospedale ed insegnanti di ogni ordine e grado. Quello che mi sorprendeva ogni volta, era l'incredibile sensazione di trovarmi completamente a mio agio con loro. Non dovuto ad una mia preparazione straordinaria, nemmeno per un loro modo di fare amichevole, semplicemente, perchè li "radiografavo", vedevo i loro limiti, le loro insicurezze, i loro bluff, sopratutto la superficialità ed enorme ignoranza. Una delle ragioni per cui mi "stimassero" ed apprezzassero così tanto, risiedeva proprio nel fatto che comprendevano che io potevo aiutarli e che mai li avrei delusi o divulgato (o usato) le loro debolezze.
Navigando, ho appreso (rubato) moltissime cose; le ho talmente fatte mie che sono diventate parte di me. In alcune occasioni la responsabilità era enorme, lo stress immenso, la solitudine altrettanto. Nella Manica, in piena notte, tutto l'equipaggio riposa, tu e il marinaio di guardia sul ponte, sei il loro unico angelo custode, se sbagli, se interpreti male, possono passare dal sonno alla morte. Da secondo uff.le di coperta ho dovuto rappezzare teste rotte, occhi fuoriusciti dalle orbite a causa di bottiglie sfasciate in viso, accudito fisicamente e moralmente malati di sifilide, e tanto altro ancora senza avere l'aiuto del 118 o delle competenze necessarie (salvo pochi elementi di Igiene Navale). Non ero un super-uomo e neppure un padreterno semplicemente nelle lunghe ore di guardia riflettevo, acuivo la mia sensibilità, osservavo e ripensavo agli errori commessi dagli altri, e li tenevo sempre a mente per migliorare me stesso. Ora, e questo sicuramente denuncia un mio malessere psichico, dopo l'esperienza traumatizzante del carcere, mi sento sporco, infetto e indegno di aver ricevuto come regalo un viaggio che, per una ragione o un'altra, non avevo nessun diritto di ricevere.
Inserito:  03 Set 2009 02:30
Caro Antonio,
la sporcizia che ti senti addosso è comprensibile, ma non reale e oggettiva. E' un tuo sentire legittimo, ma non è legittimo buttarti addosso altra immondizia.
Una persona come te, dopo tutto quello che ha passato, che riesce ad essere così lucido nel raccontare la sua vita tormentata, che riesce a comunicare così bene le sue emozioni, che denuncia e grida e ha passione e rabbia come te, non può essere finita. Puoi dare ancora tanto, e lo stai già facendo, anche se, molto probabilmente, non te ne rendi conto perché sei troppo ferito. Se tu riuscissi a dare un senso più profondo al fatto di raccontare la tua vita, allora anche tua figlia potrebbe leggerla, come abbiamo fatto tutti noi. Non è facile essere genitori: questo lo posso capire solo teoricamente dato che non ho mai avuto figli e mai ne avrò, perché anche io ho buttato la mia vita correndo dietro ad un uomo che non era adatto a me. Ma non è facile neanche essere figli, in determinate situazioni problematiche, e di questo, invece, sono specialista. Anche se non sei in contatto con tua figlia (come tu dici), è impossibile che lei non possa soffrire per te, e che non senta la tua mancanza, anche se, magari ti può fare delle colpe o può addirittura odiarti. L'orgoglio, il principio, il risentimento, uccidono più del cancro, ma questo lo avevamo già detto. Anche se sei distrutto nel fisico e nell'animo, non sei finito, è un dato di fatto, è reale, sei qui e ora. Sei solo tu a scegliere di non dare e di non chiedere più niente, aggiungendo solo dolore a dolore. Perdonami se sono stata brusca. Ti lascio con un piccolo racconto Zen che mi commuove ogni volta che lo leggo:
"Quando vivevo in mezzo a voi, alla sera, stanco, mettevo l'abito più bello e andavo nel mio giardino. Parlavo con gli alberi, con i fiori, con l'erba, con l'acqua, ed essi mi capivano, perché parlavo il linguaggio del cuore. Raccontavo loro i miei errori, le mie ansie, le mie tristezze...
Ma un giorno mi ammalai, e non potei più andare a parlare con il mio giardino.
E il mio giardino morì..."
Inserito:  03 Set 2009 11:10
23a Parte - Una storia: La mia vita

Nella nuova cella c'è un compagno di qualche anno più anziano, a settembre ha subito un primo attacco di cuore non diagnosticato. Anche lui di nome Antonio, "lavorara" a St. Vincent, professione: mago dell'occulto. Mi racconta parte delle sue "avventure" in qualche modo, straordinarie. Continua a giocare a carte, tollera me e il mio vizio, io cerco di riconpensarlo fumando nel bagno o attaccato alle sbarre della porta. E' milanese, usa il suo dialetto, che io comprendo, per descrivere ogni singolo fatto che è presente nel mondo carcerario. Grazie a lui, faccio amicizia con il "tedesco" il quale, mi invita sovente a cenare con loro, nella propria cella, nel periodo denominato "socialità". Insieme a loro c'è Murat, un turco. Partecipo raramente sebbene, la loro compagnia, mi regala un po' di sollievo. Preferisco rimanere in cella, pardon cameretta, con la blindo socchiusa. Da Antonio, imparo il suo modo singolare di considerazione per il sesso femminile. Inutile ? Dannoso? Di nessuna moralità? Tutto e molto di più, davvero singolare e (d)istruttivo. Dopo poco tempo mi rendo conto da tanti piccoli segnali che, Antonio, stà congedandosi (più o meno educatamente) da noi tutti. Avviso gli Agenti che la situazione è grave. Viene trasportato in ospedale ove rimane per 20 giorni. Trascorro il mio compleanno, il Natale, il Capodanno da solo. Un Ispettore, per voler compensare il mio aiuto-suggerimento, venuto a conoscenza del mio amore per la musica, mi concede di frequentare il locale adibito a tale uso in sostituzione delle ore d'aria. Vi sono, ovviamente, anche altre ragioni che "consigliano" una tale scelta. Mi trovo attualmente nella sezione C2, l'ora d'aria, è utilizzata congiuntamente con la sezione C1, io, in quella sezione vi giunsi "vergine", ed alcuni fatti spiacevoli sono accaduti, non è quindi auspicabile ripresentare situazioni che potrebbero divenire gravi. Lo stesso per quanto riguarda la sezione B2, nella quale, lo "zio" Peppino ne fa parte, la dirige ed organizza sapientemente. Al mio arrivo nella C2, in un battibaleno, si è venuti a conoscenza delle ragioni del mio trasferimento. Si è quindi deciso, da parte dei "guerrieri di sezione", kossovari, albanesi, rumeni, di infliggere al colpevole di abusi, una punizione. Molto, molto più rigorosa del regolamento! Un piccolo inferno, poi tramutato in sospensione, ma guai a ricommettere un solo, insignificante, piccolo errore. Dalla mia esperienza personale ho compreso come le norme applicate oralmente dai detenuti siano non solo tremende bensì devastanti. Ovunque tu venga trasferito, ti porterai dietro la tua personale condanna. Esiste un mezzo di comunicazione tra varie Case Circondariali, che nemmeno un black-out riesce a bloccare. Ogni giorno frequento la sala musica. Inizialmente siamo 4, man mano rimango solo. Suono la chitarra, l'organo, ascolto la radio che il "tedesco" mi ha prestato. Solo in cella, solo in sala musica, tranne qualche "visita" di qualche Agente che si imbosca o viene ad offrirmi una sigaretta, il suo personale supporto morale. Debbo molto ad un'infinità di Agenti, ho apprezzato il loro supporto morale. Certamente, ho osservato pure cose altamente spiacevoli e scorrette tuttavia, il bilancio è positivo. Altamente positivo.
Il 12 gennaio 2006, dopo 6 mesi di custodia cautelare, inizia un nuovo ciclo. Anch'esso altamente tragico. Il 12 gennaio, è la data fissata per il mio processo. Ho cambiato tre avvocati, non possiedo alcun mezzo per sceglierne uno non d'ufficio. Mia madre ha preferito rimunerare con 1.800 € il suo, in un atto inutile, piuttosto che... aiutarmi. Consigliato dal nuovo avvocato di patteggiare (sconto di pena di 1/3), tenuto conto anche del fatto che (Lei) è a conoscenza della derubricazione del mio caso ovvero, non sarò processato per tentato omicidio (non reggeva) bensì, per "lesioni". Anche quì c'è un piccolo giallo che tuttavia, ometto; il tempo mi è diventato preziosissimo. L'infamante accusa mi demolisce. Mi dovrò quindi accusare di aver effettivamente commesso ciò che a tavolino altre "persone" hanno stabilito equo. Immorale, indecente tuttavia, la pena prevista è differente e quindi, visto le condizioni, altamente preferibile. Con l'esperienza maturata, gli esiti successivi, sarebbe stato meglio non "scegliere" una tale infamante autoaccusa. L'indulto, si stava avvicinando. Liberi tutti, come nel gioco infantile di vecchia memoria. Auto accusarsi, o meglio, ammettere di aver commesso un reato mai commesso, ti segnerà per sempre, non potrai mai più dimenticarlo. Certamente, per i vari personaggi che "lavorano" (e si arricchiscono) per mezzo, e con le infinite sfaccettature delle norme, commi, interpretazioni e/o sentenze delle leggi, tutto ciò offre dei vantaggi, riassumibili in un semplice concetto: risparmio di tempo e di danaro. All'inferno  valori di Giustizia, correttezza e onestà. Argomenti buoni per dibattiti televisivi ove ognuno, può dimostrare la propria eloquenza, fotogenia, spiccata intelligenza. Anche qui, ovviamente, c'è il rovescio della medaglia; per i recidivi, per coloro che la Giustizia non è stata in grado di rieducare bensì, li ha delegati personalmente, con un periodo più o meno lungo di salutare allontanamento, a un autorieducazione più o meno efficente, rappresenta un'ottima soluzione per poter entrare ed uscire, rientrare e riuscire ovviamente, peggio non meglio, con un costo sociale immenso, sofferenze umane immorali che: altri saranno invitati alla cassa.
Inserito:  04 Set 2009 01:37
24a Parte - Una storia: La mia vita

12 gennaio 2006. Ammanettato mi trascinano in Tribunale, gli sguardi della gente sono pugnalate profonde, nonostante l'invito del mio avvocato a stare calmo e tranquillo mi sembra di assistere al mio abbattimento. Vengo condotto, dopo qualche tempo, in un locale. Seduti ad un tavolo vi sono il Giudice ed al suo fianco il P.M., alle mie spalle una signora ed un signore, al mio fianco, il mio avvocato e due Agenti. Pochissime parole, demolenti e liberatorie nello stesso momento. E' il Giudice che parla, e mi dice:"Abbiamo deciso di condannarla ad un anno, va bene?" Mi sento svenire, l'emozione non riesco a descriverla, solo immagini che i miei occhi fotografano e registrano. Una in particolare, che non mi abbandonerà mai più. Il disagio estremo che leggo sul viso del P.M. Ormai i miei occhi sono pieni di lacrime e le uniche parole che riesco a mormorare sono:"grazie, grazie". Non ho idea come sono ritornato sul cellulare fermo in strada, un solo immenso desiderio di potermi fumare una sigaretta che per ovvi motivi non esaudirò. Le ultime parole che ricordo sono quelle del mio avvocato che mi dice:"Coraggio, le mancano solo cinque mesi, passeranno, poi tra cinque anni tornerà da me e faremo riportare a zero il suo casellario giudiziario". Una marea di pensieri mi sommerge e mi toglie il respiro. Raccontano che, negli ultimi istanti di vita di ogni individuo, il film della propria vita gli scorre davanti...debbo dedurne che in quel preciso momento io smisi di vivere.
Rientrato in carcere trovo i miei compagni che desiderano conoscere il verdetto. Un immenso segno di solidarietà, di felicità mi accoglie. Solo cinque mesi! Non posso spiegargli che è la condanna che mi angoscia di più, non potrebbero capirlo, loro hanno anni da "rieducarsi" nell'inedia, nello squallore, nel consumare la propria esistenza. No, debbo trattenere tutti i miei sentimenti, le sensazioni, i pensieri, loro, non capirebbero. Ho bisogno del loro aiuto, della loro felicità, e anche della loro giusta invidia. Alcuni, fanno i conti e su dei foglietti, mi scrivono la data prevista per il mio rilascio: 13 maggio, tenendo conto dei 45 giorni di sconto pena per buona condotta ogni sei mesi di reclusione. In cella sono solo, Antonio, lo hanno scarcerato per gravissimi motivi di salute. Mi ha lasciato le sue cose, pentole, caffettiera, mutande. Mi corico e incomincio a pensare. Michèle ed Hélène non mi hanno mai scritto, Michèle aveva detto che sarebbe stata presente in Tribunale per aiutarmi, non era presente. Ho interrotto da ottobre di scrivere a mia madre, a seguito del suo atto. L'unico contatto esterno è una stupenda amica che, mi è stata di un conforto incredibile sin dall'inizio, dal mio ricovero in psichiatria. E' una ex cliente. Straordinaria persona. Unica. Altri ex clienti hanno trovato la forza di scrivermi.
Uno degli aspetti tremendi del carcere è proprio il silenzio che regala. Nove famiglie su dieci esplodono, e la disperazione ti avvolge. Il silenzio diventa assordante. Una semplice lettera regala sensazioni incredibili. Ho visto criminali incalliti tenere con una cura maniacale la posta, rileggerla, condividerla.
Scrivo una lettera di ringraziamento al mio avvocato, alla mia amica fedele, persino a mia madre. Inizio a tessere il mio domani. L'immaginazione corre, la speranza rinasce. Solo cinque mesi ...
Il 16 gennaio compilo la domandina necessaria per un colloquio con un psicologo. Sono conscio che un suo aiuto mi sarà di fondamentale importanza, la legnata è stata troppo forte per farcela da solo.
24 gennaio. L'ultima pugnalata. Quella definitiva. Ricevo il ricorso alla separazione richiesto da mia moglie con la data fissata per l'udienza in Tribunale.
Ora, è indubbio che il risultato sarebbe stato questo tuttavia, il leggerlo, in carcere ... è distruttivo. Ti esplode il cervello, rivedi tutti i sacrifici immensi fatti, i sogni, i ricordi belli e tristi. Piangi, ma non ti porta conforto.
Scrivo all'avvocato di mia moglie implorandola di trasmettere il mio messaggio a Michèle, di soprassedere temporaneamente a tale atto. Scrivo alla mia amica, a mia madre, a mio cognato ...
E' solo una reazione nervosa, uno sfogo, so che non porterà alcun beneficio, ripensamento (basta vedere la data di compilazione del documento con la delega a procedere da parte del suo legale: 23 dicembre).
Sembrerebbe che tutte le sofferenze siano giunte al loro zenit. No! Debbo ancora pagare di più per essere esistito. Debbono ancora punirmi e sono intenzionati fermamente nel farlo. Ci riusciranno!
Inserito:  05 Set 2009 11:02
25a Parte - Una storia: La mia vita

In quel periodo, cerco disperatamente un aiuto per ricostruire la mia esistenza una volta terminata la pena a cui sono stato condannato. Sono consapevole che senza un supporto psicologico non riuscirò a ritrovare le energie sufficienti a riprendere in mano il mio viaggio. Ricomincio a sognare e fare progetti, ho una visione realistica della situazione in cui tutti gli elementi della famiglia sono precipitati. Il loro silenzio, mi comunica tutti i loro limiti, capacità o volontà per credere in me e sostenermi, mi rivolgo quindi all'aiuto medico (psicologi), all'aiuto sociale (assistenti Sociali). Tremendo farlo in un contesto ove nulla ti dà la certezza e conferma di essere ascoltato, meritevole o semplicemente, che sia mio diritto richiederlo.
Il 21 febbraio, vengo convocato dal mio avvocato d'ufficio. Trovo questo, singolare in quanto, il procedimento a mio carico è ormai definito e non è previsto accun appello o revisione. Scopro la motivazione di tale colloquio: mia madre, è intervenuta presso il mio avvocato perchè mi comunicasse che, LEI, sarebbe disposta (bontà sua) a riaccettarmi a "casa" a patto però che "io mi faccia curare". Questo la dice lunga su cosa debbo aspettarmi una volta tornato in libertà, in effetti, il termine libertà è sbagliato. Per il sottoscritto a prescindere se colpevole o innocente, responsabile o vittima, è stato condannato alla perpetuità. Soggetto ad uno stretto controllo, nessuna possibilità di decisione e disponibile a ingozzarsi di psicofarmaci ad ogni più piccola divergenza d'opinioni in quanto, malato! Quello che è fantastico e che mia madre in quel momento ha 77 anni.Dovrei vivere così sino alla sua dipartita (statisticamente abbastanza prossima), e poi? Questo non è previsto, è irrilevante; se farò il bravo, l'aiuterò nel suo orto, l'accompagnerò a fare la spesa, mi siederò accanto a lei a vedere "tremende cazzate" in TV, non la contraddirò mai nelle "stronzate gigantesche" che dice, ascolterò di buon grado agli innumerevoli pettegolezzi di cui ormai si nutre, forse mi concederà anche due o tre sigarette al giorno (perchè è notorio che il fumo fa male), insomma se accetterò di spappolarmi la rimanenza del cervello che ancora possiedo forse, avrò il diritto di proseguire la mia esistenza accanto a quel zombie di mio fratello di cui, non descriverò nulla essendo io, totalmente ignorante in psicologia umana e quindi, incapace di individuare esattamente di quante patologie gravissime sia affetto.
Semplicemente, non mi si offre un aiuto per ricominciare il mio percorso con i dovuti e ovvi cambiamenti bensì, mi si impone di "vivere" secondo il loro insindacabile progetto. In tutto questo dove è il rispetto? Boh!
Il 24 febbraio, ricevo tre lettere, la prima dall'amica carissima che mi informa che in effetti è stato l'avvocato di mia moglie a convincerla a prendere tale decisione. Michèle stessa confidò tale affermazione aggiungendo, che non era del tutto contenta e sicura che ciò fosse necessario. Gli avvocati, d'altra parte, quale missione hanno se non quella di rimpinguare il loro portafoglio? Una richiesta di separazione rappresenta per loro, un altro lecito mezzo per arricchirsi. Giustizia, onestà, umanità? Noooo! Dialettica, interpretazione delle leggi (scritte priprio per essere diversamente interpretate), arricchimento personale. Siiiii!
La seconda è di mio fratello di cui, nemmeno una parola andrebbe sprecata per descriverne il contenuto. La terza, di mia madre! Terrificante! Mi comunica che è riuscita a contattare il psichiatra che opera in carcere e, testuali parole, mi informa che:"farà di tutto per aiutarmi persino, parlare direttamente con il Buon Dio".
Non mi resta che attendere, nel terrore, quale sarà la tremenda conseguenza che sarò costretto a subire. Evito di parlare volutamente del personaggio "psichiatra del carcere", solo due aggettivi per descrivere tale attore: ignobile e meschino.
Inserito:  06 Set 2009 01:40
26a Parte - Un storia: La mia vita

Mancano pochi giorni a che tutto termini ed io cercherò di abbreviare conseguentemente il raccomto del viaggio compiuto.

Due settimane sono trascorse e il 15 marzo, alle 6 di mattina, mi viene ordinato di prendere tutte le mie cose e di uscire dalla cella. Alle 7 percorro per l'ultima volta il corridoio della sezione C1, in direzione del piano sottostante e quindi dopo vari cancelli mi trovo, con due sacchi neri dell'immondizia, che servono da valigia, negli uffici. L'ordine in cui entro nei vari uffici è l'inverso da quello fatto per accedere al carcere. Alle 8 tutte le pratiche sono concluse, vengo fatto uscire da un grande portone in ferro e invitato a salire su di un cellulare. Ammanettato mi accomodo nella celletta adibita ai reclusi. Inizia il viaggio. Pur aspettandomelo, un angoscia tremenda mi assale; mi mancavano, secondo i calcoli, due mesi esatti alla libertà, e nell'ultimo periodo, anche grazie all'aiuto di molti Agenti ero riuscito a mettere in moto una qualche parvenza di futura assistenza. Ho avuto modo di parlare con una psicologa e due Assistenti Ministeriali che mi hanno promesso di aiutarmi. Tutto crolla ed io insieme. Inboccano l'autostrada ed io vedo allontanarsi man mano il mio paesaggio, le montagne, il verde stupendo, i paesi ed insieme tutte le speranze di potercela ancora fare a rialzarmi. Dopo circa due ore giungiamo a Torino. Poi il carcere Lo Russo-Cotugno (ex Vallette). Nuova trafila, impronte, foto, visita corporale, visita medica, poi psichiatra. Sono pieno di rabbia e non le nascondo certo il mio rancore nei confronti di tutti i psichiatri del mondo. Ho intuito la ragione del mio trasferimento. Trasferimento al blocco A, terzo piano. Altro colloquio con una psichiatra la quale mi chiede:"Perchè lei è stato trasferito qui?" risata di scherno e risposta:"Dottoressa, perchè non me lo dice lei?" Vengo spogliato di tutto e quindi, accompagnato in un corridoio di uno squallore unico. Siamo nella 7a sezione del blocco A. Entro in una cella, dopo aver consegnato tutto quello che possedevo, con una coperta. Vi sono 4 telecamere che mi controlleranno 24 ore. Nessun lenzuolo, guanciale, sgabello, TV. Nulla. Il WC e il lavandino senza nessuna protezione, branda cementata al pavimento. Fuori urla continue di altri internati. Il distillato della follia. L'intera notte con la luce accesa, il blindo è costituito da una porta in acciaio a cui è stato asportato gran parte del pannello centrale e sostituito con un doppio plexiglas che consente di vedere dentro la cella. Il mio intuito aveva avuto ragione, hanno creduto che io volessi sopprimermi nel carcere di Aosta. Imbecilli! Ad Aosta frequentavo la sala musica da solo, 4 ore al giorno, da lunedì a venerdì, se avessi voluto farlo, avevo a mia disposizione la corrente elettrica con i suoi amplificatori, le corde in acciaio del basso, delle chitarre, oltre ad essere stato per più di due mesi in cella da solo. Imbecilli è un semplice eufemismo. Nel periodo trascorso a Torino, feci "amicizia" con un rumeno: Mititelu Gheorghe, bene, egli nel giugno 2007 si suicidò in carcere, proprio nel Blocco A. Imbecilli e presuntuosi. Per 15 giorni ebbi quel trattamento e ho incontrato una quantità di psichiatri, psicologi, educatori (questo ha rappresentato il mio grande svago), ognuno dei quali mi formulava la stessa domanda iniziale. La mia risposta era sempre la stessa con l'aggiunta: "per ogni cosa occorre un luogo ed un momento idoneo, questo luogo non presenta nessuna delle due caratteristiche". Cambiai attitudine ed iniziai a prenderli in giro (la parola esatta è ovviamente un'altra), lo feci con sarcasmo e divertimento perchè vedevo la loro irritazione. Mi sono divertito anche con gli altri detenuti-degenti ai quali, mi spacciai per un ispettore in incognito. Questo atteggiamento mi ha aiutato moltissimo, sovente come un cretino ridevo in cella a crepapelle avendo studiato un nuovo "scherzo" da fare al prossimo colloquio. Iniziai a dargli i voti ai vari medici, segnandoli su di un calendario, e svelando il mio comportamento e giudizio. Venni quindi trasferito nella sezione adiacente: 8a denominata "sestante" dal nome del progetto. Altro aspetto singolare è che per la Magistratura, tali sezioni corrispondono ad un OPG (ospedale psichiatrico giudiziario), seppure temporaneo e speciale infatti, unico in Italia; per gli operatori, non meglio identificato se non Progetto Sestante. Quello che ad Aosta non avevo avuto modo di scoprire, lì ci riuscii pienamente. Assassini, uxoricidi, malati di AIDS, ciechi, paraplegici, un mondo incredibile che realmente avrei evitato di conoscere. Due assassini, in particolare mi hanno fortemente segnato. Uno di essi ebbi modo, alcuni mesi dopo, di vedere raccontata la sua vicenda in una nota trasmissione televisiva. Anche l'amico Gheorghe mi ha profondamente segnato. Mi aveva raccontato la sua tristissima vicenda.

Ho ancora 4 parti da descrivere e debbo riuscirci entro il tempo stabilito. E' stato per me un'opportunità straordinaria ed unica poter descrivere, non solo il calvario degli ultimi 4 anni, ma anche del mio viaggio precedente. Credetemi, non ho il coraggio di iniziare un'inverno come quello devastante passato e quindi, è mia ferma intenzione tirare il freno a mano e scendere alla prima fermata possibile. Altre alternative non le ho, non le ho mai avute. Non mi sono state offerte. Il mio ex avvocato sarà delusa, perderà un'occasione per intascare un compenso per la cancellazione del reato dalla mia fedina penale. Lei, ignora che mi è stato marchiato a fuoco sulla pelle. Quando leggo i fatti di cronaca un enorme conato di vomito mi assale, continuate a chiamarla Giustizia voi che ancora ci credete. Io non ci riesco.
Inserito:  06 Set 2009 22:10
Ciao Antonio.
Leggo sempre volentieri ciò che scrivi. Però la cosa si sta facendo inquietante.
Il 27 agosto hai scritto "Speravo di arrivare al 10 settembre...". Oggi scrivi "Mancano pochi giorni a che tutto termini...". Ti sei dato un tempo. Ci stai arrivando con lucidità meticolosa, in modo quasi scientifico.
Aiutami a capire cosa succede il 10 settembre. Stai meditando il suicidio? E' questo che ci vuoi dire?
La vita con te è stata dura. Ti guardi alle spalle e ripercorri istante dopo istante sapendo perfettamente le sensazioni che hai vissuto, le sofferenze che ti sono state inferte, le ingiustizie che ti hanno segnato (o marchiato, scegli tu). Non è scritto da nessuna parte che il tuo futuro debba ripercorrere in modo reiterato ciò che è stato in precedenza. Mi sembra che tu abbia già dato, no?
Che cosa vorresti che succedesse nella tua vita per riprendere a viverla con fiducia e piacere?
Rispondimi, per favore. Grazie. Ciao.
Inserito:  07 Set 2009 13:29
Amico ziofester,
ho letto il tuo intervento e sono spiacente, credimi lo sono realmente, per crearti uno stato d'inquietitudine come del resto, a tutti gli altri lettori. Ho cercato, in questo mio ultimo impegno, di non descrivere esattamente le mie decisioni per porre fine ad una vicenda divenuta assurdamente penosa e difficile. Non ci sono riuscito perchè in alcuni momenti la tensione era troppo alta. E' dal 29 maggio scorso che cerco di porre fine a tutta questa marea di sofferenza, stupidità, ingiustizia, incredibile ostinazione nel volermi annientare come persona. Ci sono riusciti, perdio se ci sono riusciti. Bastava molto meno.
Ti cito un passo di un libro che lessi da giovane e che mi ha profondamente segnato. L'ho riletto più volte, ho cercato, inutilmente, di farlo leggere a mia figlia, e per mesi (anni) è restato, non letto, sul comodino di mia moglie. Lo cito a memoria, quindi non esattamente corretto nelle parole ma nello spirito sicuramente si. L'autore è Primo Levi, il libro è o La tregua o Se questo è un uomo.

"Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo. Non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti." Egli prosegue "Eccomi docile sotto i vostri sguardi, da parte mia nulla avete da temere. Non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice!"

Io non posseggo le sue doti umane ed intellettuali,  sicuramente non ho subito ciò che egli ha dovuto soffrire tuttavia, le sofferenze sono state incredibilmente atroci ed ingiuste e questo, per un individuo miserevole quale io sono, non è ulteriormente possibile poterci convivere ancora. Se avrai la pazienza e la costanza di continuare a leggermi, imparerai che, nonostante tutto, ci ho provato, ho richiesto l'aiuto che mi necessitava, proprio perchè conscio che da solo non era possibile rimettermi in ginocchio, non dico in piedi. Mi hanno umiliato, non ascoltandomi, mi hanno obbligato a subire una incredibile serie di "sevizie mentali", obbligandomi a richiudermi sempre di più, sempre di più nel mio carapace. Non sono deluso dal loro comportamento, ciò, è quello di cui sono capaci. Il loro intelletto, buon senso, educazione, presunzione, ha prevalso su tutto. Non possiedo altre armi per difendermi se non la parola e un gesto di ribellione estremo. Quì uso la parola. E' stato per me un incredibile, meravigliosa opportunità per poter esercitare tale facoltà. Non mi curo di quello che successivamente verrà detto sulla mia personalità, carattere o intelletto. Saranno comunque solo delle vili e menzognere calunnie che serviranno solo a nascondere la loro incapacità nel svolgere professioni in cui, l'aspetto umano, ha una valenza straordinaria.
Dal 29 maggio in poi, ho decine di ricorrenze sofferte che potevano essere "adeguate" al progetto che ho "meticolosamente e scentificamente" (cito le tue corrette parole) messo in moto. Non occorre io ti confermi ciò che tu hai già compreso benissimo. Se ho cercato, con poco successo, di camuffare le mie intenzioni ciò è dovuto a due fattori: 1°) Non desidero suscitare sgomento in nessuno di coloro che beneficiano di questo stupendo strumento. 2°) Non voglio stimolare altri a seguire il mio esempio. Le debolezze di noi umani sono infinite ma ogni storia è diversa. Un abbandono, un lutto, una perdita di lavoro etc. può scatenare reazioni di emulazione che io non desidero si verifichino.
C'è un'ultima ragione che mi aiuta enormemente a perseguire il mio progetto, per rispondere alle ultime tue domande. Dal futuro non mi aspetto che altre angoscianti, ingiuste, profonde sofferenze ed umilazioni. Quello che desideravo di più, che non si è realizzato e non si realizzerà mai, è semplicemente il contatto, sebbene a distanza, con Hélène. Tutto il resto non conta. Avrei trovato la forza per andare avanti in qualche modo. Forse con un po' di fortuna, avrei anche trovato altre motivazioni, progetti, impulsi per rendere più agevole l'ultima tratta del mio viaggio. Ti confesso che una delle ragioni più profonde del mio malessere, è nella consapevolezza di non aver adempiuto in maniera soddisfacente al mio dovere di "educatore" nei confronti di "mia" figlia. Immagino, senza tanto sforzo, i danni che questo potrà arrecare ai suoi simili. Vuoi perchè facilmente plagiabile, vuoi per mancanza di volontà, o per centinaia di altre ragioni. 27 anni, una laurea, un fisico piacente...
Ti trascrivo il suo ultimo sms mentre ero ricoverato in psichiatria in osservazione a seguito del tentato suicidio: "Lo sai che io voglio aiutarti. Nessuno vuole lasciarti solo. Tanto meno io, ci vorrà del tempo... ma io ci sono... quando vuoi."!!!!!!
Ho ampiamente verificato l'uso sconsiderato della parola. La parola è un arma micidiale quando viene usata senza la dovuta riflessione e la cautela dovuta. Può ferire, illudere, annientare.
La ragione per cui ho rinviato sino ad ora il mio "progetto" è stata l'illusione che la serenità, il tempo, la riflessione avrebbe potuto portare un beneficio, anche effimero.
Dopo il silenzio angoscioso della mia ultima mail, ho avuto conferma che le mie angosciose richieste di supporto morale sono state lette e non ritenute valide per modificare il proprio atteggiamento assurdo. L'amico Bruno, che ora tengo a distanza (per validi motivi), indirettamente, mi ha fatto comprendere che non vi è alcuna possibilità a che la situazione possa modificare. L'ultima speranza è crollata. Non ho altri progetti, obbiettivi o doveri, neppure la consapevolezza che nessuno è inutile e che tutti possiamo (e dovremmo)apportare il nostro contributo a che i nostri compagni di viaggio, i più demuniti, possano trovare un sostegno morale ed un aiuto per proseguire un viaggio cosparso di trabocchetti e sofferenze.
Ecco a te la mia risposta, so che esistono mille modi per sconfessare o cercare di motivare un individuo, in qualsiasi situazione. Io stesso l'ho dovuto esercitare in moltissime occasioni, se la volontà manca, tutto diventa inutile, superfluo. I medicinali, le terapie divengono, se non inutili, di molto limitate nel loro beneficio. L'ictus non è arrivato per caso. Sarei riuscito a "superare" anche questo se solo avessi potuto beneficiare di un ascolto, di un aiuto intelligente, di un contatto "umano". Non è stato così, ora un processo si è messo in moto ed io non voglio interromperlo. Ho una estrema, incoerente paura, ma ciò è dovuto semplicemente all'istinto umano, ed io cercherò di sconfiggerla perchè tante, troppe, sono le motivazioni. Un caro saluto. Più tardi continuerò con la mia storia, l'unica valida ragione per continuare questo infernale viaggio.
Inserito:  07 Set 2009 17:26
27a Parte - Una storia:La mia vita

Ho quindi provveduto a fare istanza per i 45 giorni di sconto pena, stabiliti da una norma, in funzione della condotta mantenuta in detenzione. Nel frattempo avevo inviato una lettera alla Direzione del carcere e al Comandante degli Agenti di Aosta, il motivo? Per ringraziarli dell'aiuto morale che gli Agenti mi avevano gratificato, e per informarli che, la speranza con cui avevo combattuto nelle ultime settimane ad Aosta, per ottenere un aiuto una volta uscito, era stata demolita, annientata. L'esperienza vissuta a Torino è stata d e v a s t a n t e, lì ho avuto i primi sintomi che il mio corpo mi stava chiedendo il suo prezzo per lo stress e l'ansia vissuta. Intuendo che il mio trasferimento era temporaneo (di valutazione dei rischi cui potevo, eventualmente, essere soggetto), e quindi, un mio probabile rientro in "sede", feci richiesta al dott. Pellegrino,psichiatra, coordinatore del progetto "sestante", di sostenere un mio prolungamento di detenzione in Torino, sino alla data prevista per la mia scarcerazione ormai prossima. Nel colloquio che ne seguì, alla sua domanda delle ragioni di tale richiesta (confermando quindi la fondatezza del mio intuito), risposi che le ragioni erano due: 1°) il rientro in Aosta mi procurava uno stress incredibile in quanto, dopo l'esperienza del "Peppino" e di altre non raccontate, non avevo idea con chi mi avrebbero nuovamente "scaraventato". Le sezioni C1, C2, B2, le avevo già "vissute", mi mancava solo la B1, e la Direzione, e la mia esperienza era... completa! 2°) Il vitto a Torino era... soddisfacente. Anzi, di prima classe rispetto ad Aosta sebbene, la domenica e le feste comandate, ci fosse un "digiuno meditativo", perchè la cucina fuori servizio. Incredibile ma vero! Mancavano pochi giorni alle mie "dimissioni", aggiungere stress era inutile quanto dannoso. Il dott. Pellegrino comprese le motivazioni della mia richiesta, lui mi ascoltò e mi aiutò. Ho per lui una riconoscenza notevole e in molte occasioni, avrei desiderato rivederlo e chiedergli il suo aiuto. Mi diede il suo recapito che purtroppo persi. Una persona straordinaria, ebbe persino la delicatezza di venirmi a salutare il giorno prima di essere "dimesso". Un uomo, che mi dimostrava la sua stima e simpatia e che come ultimo giudizio, mi disse:"se Lei si farà del male, sarà per "principio". Aveva perfettamente ragione, mancava però una motivazione, quella che ho "finalmente" trovato: inutilità.
Non ho mai vissuto per me stesso! Mai. Ho commesso errori, come è normale per qualsiasi essere tuttavia, l'orgoglio di appartenere ad un Paese straordinario come l'Italia, sotto tutti i punti di vista, mi ha sempre rafforzato e rincuorato. Ora ho perso questo "orgoglio" e sono sprofondato in una solitudine immensa, incolmabile, devastante.

Ovviamente, non meritavo i 45 giorni, la denuncia vile, meschina e falsa, presentata mentre mi trovavo agli arresti domiciliari, chiedeva una severa sanzione. Non era sufficente il mio rientro in carcere, NO! Occorreva togliere qualsiasi normale diritto, anche quello concesso ai peggiori criminali. Il mio comportamento non solo è Asociale bensì anche dannoso, pericoloso, e da castigare a dovere. Non vi descriverò come ho passato quei lunghi, tremendi 45 giorni di angoscia. Posso però dirvi che ho perso ogni autostima nei miei confronti ed una rabbia profonda mi ha avviluppato. Ho perso sopratutto la capacità di credere nel prossimo e questo, è distruttivo. Il prosieguo della mia storia confermerà tale distruttivo sentimento. L'ostinata volontà e capacità nel volermi demolire ad ogni costo è incredibile, inumana, sopratutto ingiustificata. Ora comprendo meglio la rabbia che si instaura in quasi tutti gli ex detenuti. Vengono continuamente frustrate e demolite le loro aspirazioni future. Annichiliti da vergognose rappresaglie inutili quanto dannose. Un piccolo esempio. Causa un enorme ritardo nel darci la possibilità di usufruire delle docce rifatte ex novo, fu deciso nella sezione C2, non ricordo da chi, di fare uno sciopero della fame per una giornata intera. Tutte le docce, credo di tutti i carceri, sono devastatamente "marce". La doccia, non rappresenta solo il potersi "pulire" bensì, l'interruzione del solito tran-tran quotidiano, diventa un momento "magico". Bene, come "ricompensa" (e rieducazione), per diversi giorni seguenti, fu "organizzato un controllo sistematico" di tutte le celle. Alle 7, venivamo tutti raccolti, chi in pigiama chi in mutande, nelle docce (finite e non mai utilizzate), mentre nelle celle succedeva l'inferno. Al rientro trovavamo tutti gli stipetti (2 a testa), svuotati e il vestiario, lettere, scarpe, acquisti di cibo, rovesciati sulle brande. Non separati, non seguendo un rispettoso quanto dovuto riguardoso senso di privacy, NO, mischiando gli effetti personali degli occupanti. Stupendo esempio di rieducazione e di civiltà! Un ennesima infamia che presto o tardi sarà costretta a pagare la Società intera. Non esiste aggettivo per descrivere tanta stupidità ed inutilità. Un esempio, solo uno, d'imbecillità umana. Chissà quanti altri esempi esistono a dimostrazione della pochezza dell'uomo e della sua incredibile ipocrisia. Avrei voluto, Dio quanto, poter descrivere alla Società intera degli immensi errori che vengono commessi a danno di individui inermi, in carcere come nelle Comunità pseudo Psichiatriche, non ci sono riuscito e questo, è il mio ultimo fallimento. Inutile, totalmente inutile, un "divoratore d'ossigeno", un produttore di scorie e di inquinamento, sono diventato.
Inserito:  08 Set 2009 01:15
Caro Antonio,
perché dici di aver fallito, ulteriormente, non essendo riuscito a dimostrare alla Società gli errori che la stessa  commette ai danni di persone che hanno vissuto determinate esperienze come te?  Sei già riuscito a comunicare questo a tutti noi, e non è stato inutile. Non lo sarebbe stato nemmeno se la tua vita fosse stata meno "ricca" di avvenimenti; ma nel tuo caso, dato che le tue vicende personali, si intrecciano con la "vita" pubblica (sanità e giustizia), ci riguardano direttamente: quello che è capitato a te, potrebbe capitare a qualsiasi cittadino che si trovi in un momento di crisi e di disperazione, come ti sei trovato tu quando hai tentato il suicidio la prima volta.
Sarebbe molto importante se tu scrivessi tutti quei particolari che hai omesso per mancanza di spazio e di tempo; che realizzassi dei veri e propri documenti da poter pubblicare, in modo da poter denunciare quello che hai subito a tutto il mondo sensibilizzandolo su questi temi, e magari, aiuteresti molta gente a prevenire e a tutelarsi. Il talento per scrivere non ti manca... Anche se sei così provato nel fisico e, soprattutto, nell'anima.
Potresti anche scrivere su un blog e continuare a dialogare con le persone che potrebbero contattarti proprio per parlare con te di esperienze comuni...
Io capisco che ti senti inutile, ma non so come dirti che non è così: io ti devo sempre ringraziare per quello che mi hai dato. Questo magari tu non lo puoi capire. Forse, più avanti, se vuoi te lo spiegherò.
Comunque, promettimi che ci penserai alla possibilità di poter scrivere su un tuo blog, o di scrivere proprio un libro.
Daresti un senso a tanta sofferenza: la tua e quella di altri che hanno vissuto altre storie orribili di soprusi e violenza (la cronaca, di ieri e di oggi, ne è piena). 
Ti volevo chiedere: cosa succede con il tuo amico Bruno? Perché lo vuoi tenere a distanza "per validi motivi"? Se hai dei problemi nel tuo presente, è bene che tu ne parli, oltre a raccontare la tua vita passata. Sulla tua vita presente, si può ancora intervenire. Anche se siamo lontani, su questo sito non sei mai da solo, e lo dimostra il numero elevato di visite che hai ricevuto. E' vero che quando hai chiesto aiuto, in passato, non hai ricevuto quello che per te era necessario per permetterti di ricominciare, non una, ma diverse volte. Ma non è detto che sia sempre così.
Ti abbraccio.
Inserito:  08 Set 2009 05:16
Cara laurella,
mi ero ripromesso di non rispondere più a nessuno, non per mancanza di considerazione o cose simili semplicemente, perchè il tempo mi stà volando via. Non so se ritroverei più la determinazione che ho trovato in questo ultimissimo periodo. Nell'ultima parte, se lo vorrai, leggerai in quale buco senza uscita mi sono infilato. Nonostante tutto però non me la sento di non rispondere, non sarebbe leale e neppure corretto. Tu rappresenti molto per me, sei quella che ha stimolato il mio desiderio di raccontare la mia storia, mi hai letto, seguito, hai partecipato; lo stesso ha fatto ziofester a cui ieri ho risposto, non perchè mi avesse chiesto per favore di rispondergli bensì, perchè mi ha dimostrato la sua vicinanza, il suo sostegno, la sua amicizia. Debbo molto anche a "vele spiegate" e all'Amministratore, a tutti coloro, molti, che hanno visitato il forum e che comprendo per non essere intervenuti. Anch'io, quando scoprii questo sito, non trovai il coraggio di intervenire, mi sentivo pieno di vergogna, sentivo che non avrei potuto offrire nessun contributo alla sofferenza o disperazione degli altri. So che è sbagliato tuttavia, è un sentimento umano, naturale, spontaneo, si ha sempre un certo imbarazzo di fronte a coloro che soffrono e descrivono le proprie sofferte esperienze. Il silenzio non è giusto nemmeno nei riguardi di chi ha ideato questo sito e forum. Egli o loro, hanno dedicato tempo, idee e tanta volontà d'aiutare chi ne ha necessità. Per questi motivi voglio rispondere, è mio dovere nonchè piacere.
In questi ultimi tre anni, dopo l'uscita dal carcere, in più riprese ho scritto e compilato dei dossier in cui racconto le mie vicende. Sono diversi, come tutto è iniziato, come è evoluto etc. qui ho descritto la mia intera vita e quindi, ho dovuto necessariamente togliere migliaia di episodi, esperienze, sofferenze. Ho scritto anche moltissime lunghissime lettere tra le ultime al Direttore del DSM. E' una lettera tremenda, di denuncia e che dovrebbe far molto riflettere tuttavia, non tanto da trovare il coraggio civile per rispondere. Ho scritto a mia sorella implorandola di aiutarmi moralmente, al mio medico di base che a febbraio mi ha ricusato. Ti posso assicurare che ognuna di esse, nella sua "ferocia", è educata, profonda e mette in imbarazzo, non io che l'ho scritta bensì, colui che la legge. Ho scritto ai Magistrati, ai Carabinieri, al Sindaco, tutti indistintamente non hanno trovato il coraggio di rispondermi. Persino il parroco mi disse:"Accidenti, Antonio scrivi proprio bene" quando al rientro andai inutilmente a chiedergli aiuto. Quel giorno, e quelli sucessivi, la Carità Cristiana era ... in vacanza. La lettera che gli scrissi dal carcere, era per pregarlo di portare un sostegno a... mia madre. Non pensavo a me, pensavo a coloro che soffrivano. Io non stavo soffrendo, io stavo pagando ingiustamente. Scrivere una lettera è molto più facile che descrivere la propria vita. L'argomento è unico, la ragione per cui la scrivi ti è chiaro. Raccontare la propria vita impegna molto di più. All'amico Bruno, ho raccontato centinaia di episodi, e tutti, intervallati da enormi parentesi. Notavo la fatica che compiva nel seguirmi, era evidente. Uno degli aspetti per cui ottenevo così tanta stima dai miei clienti, era anche dovuto a questa grazia ricevuta. La sintassi, la forma, è importante mà, se hai una storia (vera) da raccontare, se essa è interessante, intelligente, presenta punti di vista inconsueti, beh, hai già un ascoltatore più attento ed interessato.
Ti ringrazio anche per il cortese invito che mi rivolgi per scrivere su di un blog o un libro autobiografico. Purtroppo, non ho più tempo; purtroppo la mia fermata è troppo vicina, non potrei neppure immaginare di passare un inverno come quello passato. Per quanto riguarda a dare un "senso alla sofferenza", non desidero quì entrare in polemica tuttavia, credo la sofferenza non abbia nessun senso, proprio nessuno; può forse aiutarci a divenire migliori ma, se ci pensi bene, sono coloro che non soffrono che dovrebbero modificare i loro comportamenti, giudizi (a volte sommari), il loro modo di vivere. Chi soffre è annientato dal dolore, sia psichico che fisico, e non vede l'ora di terminare di soffrire, poi ... nella maggioranza dei casi (non tutti), cercherà di dimenticare; anche questo è un aspetto antropologico, viviamo nella paura di soffrire e quindi, cerchiamo di esorcizzarla; rarissimi sono i casi di ricerca della sofferenza (vedi sette religiose, cilicio etc.), e sempre, la Società li emargina. In ogni caso ho compreso quello che tu intendevi con le tue parole, anche quello che c'è di sott'inteso. Ti apprezzo e ti sono riconoscente.
Rispondo, per concludere, alla tua domanda relativa al signor Bruno. Sono diverse le ragioni del mio allontanarlo. Tutte importanti, tutte riflettute e tutte serie.
L'ho conosciuto nell'aprile 2008 al mio rientro (scoprirai più avanti la follia di cui sto parlando, della debolezza stupida che mi fece ritornare e accantonare il mio progetto, illudendomi di trovare aiuto e, a causa di quella illusione, di trovarmi nella situazione in cui ora mi trovo, senza vie d'uscita), egli è un collaboratore dell'Assistente Sociale locale. Le sue competenze di ordine medico (farmacologico, psichiatrico, psicologico etc.) e quelle di altre e numerose discipline, nonchè di ordine umano, fanno sì che sia un valente e indispensabile collaboratore. Dovrebbe sopperire alle immense carenze, di ogni ordine e grado, del suo referente. In realtà, viene usato quando non sanno che pesce prendere; viene criticato, allontanato o tenuto in disparte quando vi sono riunioni, "studi di progetto", decisioni fondamentali da prendere etc. All'italiana ovvero, nell'usarlo da galoppino e allontanarlo quando si ricevono premi, quando si sprecano inutilmente parole, parole su parole, di nessun senso pratico ma piene di un buon senso (da non confondere con il common sense inglese), che qualsiasi ascoltatore o si addormenta (per l'effetto narcotizzante di esse) o si annoia sino ad avvicinarsi pericolosamente al...suicidio. Parole vuote, inconcludenti, persino difficili dal pronunciare.
Non a caso, è l'unico a cui io abbia dato confidenza, è l'unico che permetteri volentieri mi desse del tu (tra noi, utilizziamo il lei), tutti gli altri, il "tu" è cosa automatica. Inutile spiegargli che non abbiamo mai pranzato assieme e neppure dormito, sono pieni della loro ignoranza. Il "tu" si merita, non è per tutti, il rispetto reciproco ha poche regole basilari, questa, è una di quelle. In ogni caso questo è il mio giudizio a tal proposito.
A complicare la situazione è subentrata una forma di amicizia, dovuta anche alle confidenze reciproche, e questo diventa pericoloso, estremamente pericoloso. Non per me, per lui. Sintetizzando al massimo, posso elencare le ragioni fondamentali della ragione per cui ho preferito questa soluzione.
1°) Prima ci si "stacca" meno si soffrirà dopo.
2°) E' suscettibile di vili rappresaglie. Ne ho già viste troppe per sottovalutare tale problema. Lui è l'unico che può parlare con me. L'imbecillità umana non ha limiti nel vendicarsi o scaricare responsabilità o colpe. Alcune critiche in tal senso le ha già ricevute.
3°) Voglio evitare in tutti i modi leciti possibili il cambiamento di rotta da quella impostata sul mio pilota automatico.
Per ultimo, la tua affermazione:"Ma non è detto che sia sempre così". Avrei dovuto conoscerti nel passato, credo saremmo divenuti buoni amici perchè stimoli la mia loquacità, fantasia ed il mio humor. Non credere che io sia di carattere taciturno, schivo, ombroso etc., mi piace l'ironia, fare battute, ridere, da sempre. Però non credo alle favole, a Babbo Natale e tutto il resto. Ho solo un'alternativa: umiliarmi per l'ennesima volta ed acettare il folle aiuto che mi offrono (scoprirai in seguito qual'è); oppure, in alternativa, sperare in una morte istantanea (e dolorosa) di tutti i componenti del reparto di psichiatria, dell'Assistente Sociale, del suo superiore più un'altra quantità spaventosa di gente dannosa ed inutile. Qualche volta occorre essere moderati con le proprie aspirazioni, desideri e sogni. Questo è proprio uno di quei momenti. Togliere il disturbo è molto meno inquietante e meno cruento. Dopo, può anche venire l'influenza tipo A, il diluvio universale, il colera, la febbre gialla, sarà solo grasso che cola.
Una carezza (e sorridi). Ciao
Inserito:  08 Set 2009 16:58
28a Parte - Una storia: La mia vita

Trascorsero così anche gli ultimi penosissimi 45 giorni. Il ritorno alla libertà è stato, da solo, uno shock straordinario. Mi avevano consegnato dei vestiti e delle borse, i volontari presenti nell'istituto di pena, ed io mi ritrovai alle 11 nel piazzale antistante le carceri. Mi è stato concesso di uscire di mattina grazie alla lettera che avevo inviato alla Direzione di Aosta (ricordate?), nonostante questo, una vergogna immensa mi ha straziato. Fuori, c'erano parenti in attesa degli orari di visita, ed io mi sentivo solo, solo come un cane. Avevo con me del danaro che avevo conservato per tale evenienza tuttavia, non nel taglio necessario per poter prendere i mezzi pubblici lì parcheggiati. Mi sedetti su di una panchina e guardai tutto quel mondo di cui sentivo non farne più parte. Non è rilevante cosa gli altri pensino di te bensì, quello che tu stesso immagini gli altri possano, o potrebbero, pensare di te. Assolutamente naturale anche se non propriamente corretto tuttavia, quanti simili capovolgimenti di interpretazione convivono con la mente umana? Decine! L'istinto riusciamo a controllarlo solo con l'intelligenza, la ragione, e non sempre ci riusciamo. Da soli poi, è una impresa a volte penosissima, faticosa e logorante. Dopo alcune ore, uscito dal torpore che mi aveva paralizzato, presi un taxi. Fui ospitato temporaneamente a casa di una zia paterna di cui preferisco non raccontare nulla. Mi recai da un barbiere per cercare di riacquistare delle sembianze umane, quindi da un fotografo (ero sprovvisto di documenti). Vagai per ore a piedi in città, cercando di riassaporare l'odore della libertà. Raggiunsi Valdocco, luogo in cui avevo vissuto e frequentato parte delle medie. Stavo cercando di riappropriarmi della mia giovinezza. Entrai nella Basilica, e rividi il luogo ove avevo fatto parte del coro. Nella mia testa vi era un marasma di pensieri, si accavallavano in maniera indisciplinata ed io non riuscivo a metterci ordine. Scappai, angosciato da quel luogo, mi dava l'impressione di aver frugato nella vita di qualcun altro. Trovai un bar, mi sedetti all'esterno e sorseggiai una birra. Era il 27 giugno 2006, era trascorso un anno, era totalmente cambiata la mia vita, ma per la prima volta non ero stato io a scegliere quale direzione fosse stata più confacente al mio carattere, alla mia personalità ed alle mie aspirazioni. Tutto era evaporato: sogni, ambizioni, affetti, proprio tutto. Al loro posto solo paure, tremende e mai provate.
Mi recai alla stazione e salii sul primo treno diretto in Valle d'Aosta. Fu un viaggio, che non potrò dimenticare. Quando da navigante, rientravo a casa, la primaria sensazione che mi colpiva era quell'immenso colore verde, di tutte le sfumature, regalato dai prati e dai boschi. Mi trovavo sempre meravigliosamente impreparato ad ammirarlo, dopo vari mesi di tutte le varianti di blu con cui avevo convissuto. Giunto ad Aosta mi diressi verso il treno che proseguiva verso il Monte Bianco. Non avevo provveduto a fare il biglietto sino alla mia destinazione finale, rimasi quindi nella piattaforma di entrata ed uscita in attesa del bigliettaio. Non avevo il coraggio di entrare nel vagone, troppo era il timore d'incontrare qualcuno che mi conoscesse.
Arrivato a destinazione, mi recai a piedi nella frazione in cui avevo abitato. Mi recai da uno zio per recuperare le chiavi del mio laboratorio ove avrei provato a ricominciare tutto d'accapo.

Nelle ultime settimane di carcere, avevo cercato d'immaginare una bozza di progetto. Avevo un laboratorio, delle competenze, non possedevo alcun danaro (quello che c'era, era stato rapinato dalla mia socia in affari e compagna di viaggio; persino i crediti, molti, che possedevo erano stati... incamerati), un capitale fatto di clienti. Mi occorreva una nuova compagna a cui dedicare tutto il mio affetto e che mi aiutasse a ritrovare una motivazione per andare avanti. Non mi importava il suo passato, prostituta, ragazza madre, anzi questo, forse mi avrebbe ancor più motivato, saremmo stati in due a ripartire da zero. Questo sogno, forse, rappresentava l'aspetto del mio carattere di essere la "locomotiva". Le avrei insegnato a cucire, l'avrei protetta, sostenuta, perchè facendolo, avrei ritrovato le mie energie passate e forse, ricomposto i miei sogni spezzati. Mia moglie, mi deve molto e lei ne è cosciente. Tutto quello che ha imparato lo deve a me. So che può sembrare una indebita presunzione questa mia affermazione tuttavia, e la realtà. Nell'unico campo in cui non ho, volutamente, interferito è stato nell'educazione di Hélène. Gli unici vincoli che ho fissato sono stati: lo studio e l'assoluto divieto di piercing o tatuaggi (occorre rispettare il proprio corpo esso, è l'immagine di quello che siamo nell'anima. Un segnale ambiguo, seppur piccolo, che diamo agli altri, può essere interpretato in maniera scorretta e dare origine a sofferenze inutili. Non conta l'ingenuità con cui certi comportamenti che noi teniamo nei rapporti con gli altri, siano sprovvisti di qualsiasi malizia, conta invece l'interpretazione che questi atteggiamenti potrebbero condurre ad un fraintendimento. Un segnale sbagliato può produrre disastri immani.) Non sono nè un moralista nè un bigotto ma semplicemente, ho avuto la fortuna di viaggiare moltissimo e di conoscere una varietà enorme di persone, e ho appreso che alcune cose in determinati ambienti non vengono accettate. Perchè allora precludersi a priori, per uno sfizio (anche legittimo, ma inopportuno) la possibilità di poter far parte di quell'ambiente? A maturità conseguita, ovviamente, ciascuno è libero di scegliere il proprio cammino, stile di vita o ambiente in cui vivere.
Oggi, sono cosciente di avere commesso un gravissimo errore e ne pago le giuste od inique conseguenze.

Mi recai dal Sindaco, dall'Assistente Sociale, dal parroco, dai Carabinieri (nel frattempo il maresciallo era stato sostituito, molti altri danni aveva commesso), dal mio medico di base (consigliere comunale), da tutti coloro immaginavo potessero aiutarmi. Grazie all'intervento dell'Assistente Sociale ed al Sindaco fui assunto come ausiliario temporaneo alle dipendenze dell'ufficio tecnico. Fu un'esperienza allucinante. Il mio stipendio netto era di 1.200€ mensili. Giornate intere d'inedia totale, seduto su di una poltrona oppure, nell'assistere a ruberie, ladrocinii, liti, frustrazioni incredibili. Non poteva continuare così, sarei divenuto uno dei tantissimi alcolizzati che "vivono" sul territorio. Nel frattempo ricevevo un aiuto concreto notevole: i pasti. Portati quotidianamente nel mio laboratorio, escluso le domeniche. Per chiunque sarebbe stata una pacchia, 1.200€ a non fare nulla, ma proprio nulla. Una scellerata infame rapina nei confronti di tutti coloro che pagano le imposte. Ripeto, non sono un moralista ed un bigotto tuttavia, a tutto c'è un limite. Cassaintegrati, lavoratori part-time (a vita), Co-coco, stagisti, giovani che non riescono nemmeno ad immaginare un futuro decente... ed io "rubo" 1.200€ al mese ed assisto a ruberie immense? Dovessi raccontare tutto quello che ho visto, altro che Noemi, Papi, Boffi-gates etc.
Un piccolissimo esempio, di altro genere, che ho avuto l'opportunità di vivere. Prima del mio tentato suicidio fallito, mi recai ad Aosta in disperata ricerca di un aiuto per ritrovare un colloquio con mia moglie. Pensai, ingenuamente, che forse l'aiuto di un sacerdote mi avrebbe aiutato a risolvere il problema. Vicino al Vescovado, trovai un sacerdote molto conosciuto, che durante le vacanze del S. Padre in Valle, era sempre in prima fila. Mi avvicinai, descrissi il mio straziante stress, gli chiesi un aiuto, un ascolto. Risposta:"A cento metri c'è la Caritas. Lì, ti daranno un piatto di minestra!" Fui letteralmente annientato. Ho le sue parole scolpite nel mio cervello.
Cari amici, non ho perso totalmente la poca Fede che possedevo, altri esempi hanno ricompensato tale gesto. Un anno dopo, lo stesso sacerdote si prese un anno sabbatico in quanto, venne alla luce che nella sua "frenesia" ecclesiastica era riuscito anche ad avere una figlia. Ora è stato trasferito in Piemonte, nelle zone di Ivrea o Biella, disponibilissimo a compiere altri...atti "Cristiani".
Proseguirò più tardi questo calvario incredibile.
Inserito:  09 Set 2009 00:57
29a Parte - Una storia: La mia vita

Ad agosto fui informato che un grande hotel ricercava un portiere di notte. Essa era un occasione d'oro per me, sarei stato disposto a qualsiasi sacrificio per ottenere quel posto, anche a rinunciare a metà dello stipendio; rimanere ove ero significava la mia morte. Contattai immediatamente l'Ass. Sociale, conscio che il suo aiuto sarebbe stato determinante. Era la seconda volta che richiedevo il suo aiuto, mai l'avevo chiamata per lagnarmi della mia situazione. Il suo silenzio mi devastò. Mi presentai comunque al colloquio. Mi fu detto che mi avrebbero fatto sapere. Ancora oggi sono in attesa di una loro cortese (e dovuta) risposta. Furente spensi il telefono. Dopo 10 giorni ricevetti le scuse:"era stata per lei, una settimana terrificante". A ottobre, disgustato da come le cose procedevano presentai le mie dimissioni al Sindaco il quale, mi prego di compilare una relazione sulla situazione presente e questo, per dargli modo di correggere le anomalie e "raddrizzare" la situazione. La compilai e la presentai. Il segretario comunale mi chiese di rivedere la mia decisione per quanto concerneva le dimissioni dichiarandosi "colpevole" per non aver vigilato maggiormente su di una situazione già ben nota. Accettai di sospendere la mia decisione. Nella settimana seguente subii tutte le conseguenze immaginabili e mi astenni a ripresentarmi sul posto di lavoro. Passarono 10 giorni e finalmente accettarono le mie dimissioni (in ogni caso il mio contratto sarebbe scaduto il 13 novembre). Mi rinchiusi nel mio laboratorio e crollai in una depressione tremenda. A febbraio 2007, una angosciante paura mi pervase. Mia madre, sapendo come si era comportata nella mia vicenda, avrebbe potuto mancare in qualsiasi momento ed io non volevo che ciò accadesse con il rimorso che "sicuramente" provava. Dopo due mesi da cancellare, fatti di sue visite, pianti e richieste di rientrare a casa, cedetti. Non avevo più mezzi nemmeno per cibarmi, da settimane non mangiavo più, rientrai dunque a "casa". Due mesi dopo, giugno 2007 (un anno esatto dall'uscita del carcere), la tensione, il constatare che nulla era cambiato, con in più la paura crescente di essere picchiato da mio fratello, ebbi l'ictus. Il mio medico, non comprese la gravità della situazione e mi prescrisse una serie di esami (non urgenti) con priorità: a babbo morto! Nel frattempo successe quello che avevo sempre temuto: mio fratello mi picchiò. Lo fece davanti alla mia adorata sorellina e tirò qualche schiaffo anche a mia madre intenta a difendermi. Intervenne l'altra sorella e mio cognato sequestrò mio fratello per due giorni nell'intento (inutile) di farlo riflettere. A questo punto potete immaginare in che condizioni io mi trovassi! Ad agosto, il 9, dopo 45 giorni dall'ictus, in occasione del primo esame stabilito in ospedale, un medico, consigliò un mio urgentissimo ricovero in neurologia. Si accorsero che qualcosa di grave era avvenuto! Diagnosticarono l'ictus e dopo 15 giorni di ricovero mi dimisero con la terapia adatta. Feci richiesta della mia cartella clinica, e mentre c'ero, richiesi anche quella relativa al mio ricovero in psichiatria avvenuto nel giugno 2005 a seguito del mio tentato suicidio. Sapendo cosa vi fosse scritto in essa, non osai aprirla, e mi accontentai di saperla in mie mani. L'ictus comporta tra l'altro (come tutte le patologie gravi), una depressione psichica notevole ed i farmaci della terapia da assumere accentuano ulteriormente tale fenomeno. Nessuno mi avvertì e come conseguenza fu: un crollo totale. Mi rinchiusi in casa, interruppi nuovamente di cibarmi e di assumere la terapia prescrittami. Ciò accadde subito dopo aver avuto una lite a pranzo con mia madre. Quel giorno, mentre le sottolineavo tutti gli errori commessi a mio danno e del comportamento indegno che aveva tenuto nei confronti di mia moglie (di cui non è più possibile avere il tempo per descrivervi l'orrore), mi rispose che in ogni caso mia moglie era una: puttana! Chiusomi nel "mio" appartamento, andai a prendere la cartella clinica relativa al mio ricovero in psichiatria. Intuivo ciò che vi era scritto ma il leggerlo mi demolì. Scoprii anche gli imperdonabili errori commessi dai medici, delle loro incredibili superficialità, incapacità e pressapochismo. Fu realmente distruttivo. Mi misi quindi all'opera e stilai un voluminoso dossier-denuncia, in 10 copie che provvidi a far pervenire a: Magistrati (P.M e Giudice), Carabinieri, Medico di base, un amico, l'amatissima amica che mi aveva sostenuto per 13 lunghissimi mesi, mia sorella, una copia per me, una per la stampa locale (che poi rinuncia a consegnare), e l'ultima copia a mio zio. Ci misi due mesi, cibandomi di latte. Mi ridussi ad uno straccio. Infine, un pomeriggio, salii in vettura e misi in atto il mio progetto e partii.

Chiedo scusa per la forma ma l'angoscia mi stà divorando. Nella giornata descriverò la 30a ed ultima parte di questa incredibile storia. Credo di aver raggiunto realmente lo stato d'animo necessario per trovare un residuo di forze per porre termine ad un incubo durato troppo tempo. Domani comprerò una bottiglia di vino e brinderò alla mia salute, tutti loro, pur non essendo alleati, hanno partecipato in un modo od un altro a demolirmi, ci sono riusciti ma l'ultima mossa tocca a me, e vi assicuro, che nonostante tutto, non avranno il coraggio di ridere.